mercoledì 31 ottobre 2012

Carnet de voyage.1



“A votre gauche le Mont Blanc” avvisa il pilota, dopo venti minuti atterriamo oltre confine.
Prima di uscire dall’aeroporto, devo procurarmi il biglietto dei mezzi pubblici dalle apposite macchinette.
“Cool, it’s free!” esclama il turista che mi precede. I mezzi pubblici per raggiungere il centro sono davvero gratuiti. Stupore.
Lungo il binario della stazione chiedo informazioni, mi rispondono in tre. Meraviglia.
Un ragazzo mi aiuta a sollevare la valigia per salire sul treno. Giubilo.
Il vagone è affollato. Sto per andarmene, quando un coreano libera lo spazio attorno e mi fa sedere. “Gam-sa-ham-ni-da!” è una delle poche parole che posso dirgli per ringraziarlo. Commozione.
Gare Cornavin, arrivée.
Il viaggio è stato breve, ho avuto tempo per un’unica considerazione: sarà colpa di questa improvvisa e multietnica ondata di civiltà se mi verranno le bolle!


mercoledì 24 ottobre 2012

Happy Bar



Dalle 8.30 alle 21.00 questo è l’orario del bar. Ma se c’è la partita allora no, il bar non chiude fino a quando non se ne è andato l’ultimo tifoso.
Una sera la squadra perde. Finita la trasmissione tv, tutti  tornano a casa senza avere molto da dirsi, ognuno con la testa nel pallone. Loredana la barista, l’unica donna che segue le partite con il gruppo di tifosi, non deve insistere con nessuno, stavolta non hanno voglia neanche di giocare a biliardino. Loredana chiude a chiave la porta d’ingresso del bar e mette il catenaccio al cancello del cortile, poi se ne va anche lei.
Rimangono lungo la strada, lì davanti, in due. I soliti due che fanno sempre più tardi degli altri. Stanno in piedi fuori dal cortile, la schiena appoggiata al cancello.
- Che c’hai?
- Se vede?
- E come no?
- Sto demmerda!
- T’ho chiesto infatti che c’hai.
- Mi moje me farà impazzì.
- Ancora cò sta storia? Ma nun l’hai risolta?
- E come? Ce s’è messo de mezzo pure mi socero, dice che è colpa mia se lei me vole lascià. St’infartuato, je ne faccio venì n’antro!
- Colpa tua, e perché?
- Colpa mia, colpa mia, maddeche?!? E’ colpa dei sordi! Quelli che m’ha prestato proprio lui, per mette su l’attività. Adesso il vecchio li rivole! E io non ce l’ho da ridajeli allora vado a casa e sto nervoso, capisci? Come je li restituisco sti sordi, dove li pijo, nun me vole mette fretta, dice, ma io c’ho l’ansia, me sento in debito, capisci?
- Te capisco sì.
- E poi che fai, prima me li presti, ce porto a casa er pane pe tu fija e tu nipote, mica ce divento ricco, e poi me li richiedi perché te se strigne er culo, perché pensi che non ce l’hai per te? Che se l’attività nun me va bene nun te li posso ridà più?! Bella fiducia! Sto taccagno infartuato! Ho sbajato io a dije - Sì grazie - quella volta, dovevo fa tutto da solo, ma nun annavo da nessuna parte senza quer prestito. E adesso manco posso tornà a casa!
- E perché no?
- Pe a ragazzina.
- Che c’entra a ragazzina?
- Se torno mi moje inizia a urlà, me mette l’ansia dei sordi e finimo per facce la guerra, tutti i giorni è così, da du mesi, io non ce la posso fa più. Me conta tutto, dice che li dovemo restituì, dice che er padre li rivole…e che je do? Gli spicci che c’ho in tasca? Martedì  sai che m’ha detto? M’ha detto che nun sò un omo che sa mandà avanti la casa. Ma checcazzo je viè in mente? E davanti a ragazzina! Nun me va de fa sentì ste storie a mi fija no?
- No, certo che no. E mò indò vai?
- Da mi madre, torno a dormì da mi madre. A quarant’anni torno da mi madre.
- Senti, ce sei annato al consultorio? Sta qui vicino, io se fossi in te ce andrei a fa du parole, magari portace tu moje, magari ve calmate, me pare che sto fatto dei soldi v’ha rosicato a tutti e due
- Consultorio? E chemmedeve dì? Io la amo a mi moje e vojo tornà a casa. E basta. Nun me lo deve dì er consultorio.

Squilla un telefono.

- Pronto Cristì, ciao amore sto qui davanti al bar, sto a parlà co Gianni, torno tra poco.
- E’ Cristina tua? Passamela va.
- Te passo Gianni, te vole parlà, daje un consijo te se ce riesci.
- Pronto Cristì, voi donne sete tutte delle… grandissime stronzee!!!
- Ahò, ma che stai a dì, te sei impazzito?! Ridamme sto telefono!
- Oddio no, scusa!! Cristina nun era per te, scusa me so sfogato, me so bevuto tre whisky, so a pezzi Cristì, me devi capì! Anzi te dico pure che te sei una donna stupenda Cristì, sei la mejo donna che poteva stà co n’amico mio. Scusa Cristì, m’è partito er cervello! Te ripasso Andrea. T’abbraccio, sei stupenda Cristì, scusame  eh, nun era per te, me devi crede…
- Cristì, gnente, tra poco torno, nun te preoccupà, sta ddefori, poi te racconto. Ciao amo’.
- Andrè scusame tanto pure te, nun era pe Cristina, ce lo sai.
- Te devi carmà, hai capito?!
- Sì, scusame. Sto a fa un casino.
- Te lo dico pe te. Nun te fa bene tutta sta rabbia che te porti, vai a finì peggio. Mò perché so io, so n’amico tuo e lascio perde, figurate. Ma te devi pensa che c’hai pure na ragazzinaa.
- Infatti mi fija è l’unica preoccupazione mia, nun deve sentì i genitori che se scanna. Nun me frega dei sordi, de mi moje che nun me stima, dei debiti che c’ho co l’attività ma a ragazzina quella me la devono lascià vive in pace.
- Daje vedrai che anche ar socero sta fissa dei sordi je passa e tu moje capisce che ha esagerato, tu però nun te devi innervosì così. Annamo a casa va, che stasera già avemo perso, da quarche parte.
- Grazie Andrè, scusame co Cristina, nun te scordà, che quanno la rivedo je lo dico pur’io ma adesso… me vergogno troppo.
- Nun ce pensà. Nnamo.

- E grazie pure a te. Dopo stì quattro goal, se nun me sfogavo con quarcuno potevo scoppià!
- De whisky. Ce vedemo domani, se passi alle 8.30 te offro un caffè. Adesso va a dormì sennò chi te sveja pe annà a lavorà?”
- Chi? Mi madre. Stanotte o faccio io er ragazzino. Ciao Andrè.
- Ciao.


sabato 20 ottobre 2012

Desaparecido



Era l’orgoglio del girone dei coltelli, il più affilato, il più leggero, il più maneggevole. Sapeva tagliare le zucchine in dischi perfetti, le carote non opponevano alcuna resistenza, le patate si lasciavano pelare quasi fossero accarezzate da lui. Piaceva a tutti, mestoli compresi. Sapevano che ci si poteva fidare, non avrebbe mai usato la sua lama senza prima chiedere il permesso.
Una sera la padrona di casa rientrò tardi, molto tardi, barcollando. Aveva bevuto troppo. Andò in cucina, aprì il frigorifero e tirò fuori la mezza anguria che riposava lì dentro. Dato il peso e i tacchi, quasi stavano per cadere lei e l’anguria che, per lo spavento, arrossì di più.
La donna poggiò malamente l’anguria sopra il tavolo della cucina poi si volse, uno sguardo annebbiato ma lo vide. Luminoso, tagliente, sempre pronto all’uso. Lo afferrò per il manico e iniziò a conficcarlo nella polpa. Una, due, tre volte, direzioni vaghe anche colpi a vuoto. Mai lui aveva compiuto un lavoro così maldestro, che vergogna. Più tagliava fette sghembe e più lei se le infilava in bocca, una furia affamata e senza tregua. Schizzi rossi ovunque, estremi afflati di un' anguria agonizzante.
All’ultimo morso, il tavolo era pieno di scorze e tranci laceri.
La padrona si girò di nuovo, uno scatto. Con sguardo basso vide il secchio della spazzatura, lo prese e lo portò a ridosso del tavolo. Spingendo con le mani poi con le avambraccia inzuppate, fece precipitare ogni resto nel secchio.
Era l’alba ormai eppure, non paga del lavoro di pulizia, la donna estrasse il sacchetto pieno dal secchio e iniziò a trascinarlo fuori dalla cucina.
Mentre lo strisciava a terra, gocce di succo colavano e segnavano il pavimento, il sacchetto era trafitto. Da quello spacco si scorgeva la punta di una lama.
Le zucchine, le carote, le patate nel cestino, gli altri coltelli, pure i mestoli osservarono il fatto, ammutoliti.
Lui non tornò più.
Da fuori un tonfo nella raccolta del vetro, si udì bene in cucina, e una forchetta svenne.
La padrona barcollante rientrò in casa. Ebbra di tutto aveva anche sbagliato cassonetto.


giovedì 18 ottobre 2012

Roma e il sole d'ottobre



Zona San Pietro, alla fine di una discesa il semaforo è rosso. 
In testa alla fila, un pulmino bianco con dentro personale ecclesiastico, alla guida un sacerdote. 
Al secondo posto un’auto bianca, alla guida un altro sacerdote, è solo in auto, forse non c’era posto nel pulmino. Dal finestrino dell’auto spunta la testa di quel sacerdote : ”Don Francesco, Don Francescooo” è un giovane prete che cerca di richiamare l’attenzione dell’autista del pulmino. 
Tale Don Francesco però non sente e non risponde, c’è allegro brusìo nell’ abitacolo più grande. 
Mi fermo allora lungo il marciapiede, potrei chiamare io Don Francesco, sarebbe tutto più semplice e forse guadagnerei un punto con il Capo. 
Ma il sacerdote dell’auto insiste con grinta inaspettata dall’abito talare: “Don Francesco, Don Francescoo” . Quale sarà il problema, penso, forse è successo qualcosa di grave. “ Don Francescoo sento puzza di bruciato… devi togliere… il freno a manoooo!!”.

Don Francesco ha guidato il pulmino lungo la discesa con il freno a mano tirato. Rido, perdo il punto e mi allontano sotto il sole d’ottobre. Amen.