Ora di punta, semaforo, clacson, motorini, passanti. Roba su roba.
Un’auto è parcheggiata in seconda fila, a pochi metri dall’incrocio. Dentro, un uomo sta al telefono. E urla.
Passanti incuriositi.
"Ahòòò me sò stufato de fà da tassinaro a tu sorella, nun c'è, è
mezz'ora che spetto, je lo devi dì, me sò stufatooo, nun sò un
tassinaro io, lo volete capìì, sto a perde tempo, chiamasse quarcun altro, sta storia deve finì, me so spiegatoo??!!!!
Arriva una ragazza, alta, sportiva, con due buste della spesa. Apre lo sportello posteriore, posiziona le buste e si siede.
Passanti allarmati.
Ciao.
Ciao.
"Nun se pò continuà così, è chiaro o no?? 'Ndò sta quell'artro adesso,
‘ndo sta quell’altro, 'ndo staaaaaa??!!” sempre al telefono.
Arriva quell’altro, un uomo basso, sportivo, apre lo sportello del passeggero, a fianco di colui che urla. Entra e si siede.
Ciao Francé.
Ciao Alessà.
Pacca sulla spalla di Francé ad Alessà.
Passanti allibiti.
“Ahò sò ‘rrivati. Te saluto, famme annà”. L’uomo riattacca.
Mette in moto l’auto e parte.
[Famme annà o Er tassinaro de tu sorella - Anche questa è Roma d’esta_utunno]
"Ora la smetta con queste frottole! Conosco una persona a cui non piacerebbe saperla qui" Joyce
mercoledì 9 ottobre 2013
martedì 24 settembre 2013
Ricami urbani_2
A 500 metri dall'ingresso del parco.
Un uomo è davanti al bar. Passa l'amico.
L'uomo: Ma guardalo, mò vai sempre a core. Che ce vai a fà se non fai altro che magnà e beve?
L'amico: E' per mantené 'na coerenza de panza.
[Coerenza de panza - Anche questa è Roma d'esta_utunno]
Un uomo è davanti al bar. Passa l'amico.
L'uomo: Ma guardalo, mò vai sempre a core. Che ce vai a fà se non fai altro che magnà e beve?
L'amico: E' per mantené 'na coerenza de panza.
[Coerenza de panza - Anche questa è Roma d'esta_utunno]
Ricami urbani_1
Al parco.
Due uomini panciuti corrono annaspando, uno è più avanti dell'altro di un solo passo.
Quello dietro: Aho guarda che te stai a sforzà troppo.
Quello davanti: Dici?
Quello dietro: Nun è che se te sforzi così tanto bruci deppiù. Devi guardà er frequenzimetro.
Quello davanti: Sò teorie.
[Sò teorie - Anche questa è Roma d'esta_utunno]
Due uomini panciuti corrono annaspando, uno è più avanti dell'altro di un solo passo.
Quello dietro: Aho guarda che te stai a sforzà troppo.
Quello davanti: Dici?
Quello dietro: Nun è che se te sforzi così tanto bruci deppiù. Devi guardà er frequenzimetro.
Quello davanti: Sò teorie.
[Sò teorie - Anche questa è Roma d'esta_utunno]
mercoledì 24 luglio 2013
Per un chilo di banane
"Signorina che me dà na mano per attraversà la strada? Devo andà a comprà le banane".
Porgo il braccio d'appoggio.
Un, due, tre...un passo lungo e due piccoli, cammina e balla il valzer la signora Margherita, 93 anni e una camicetta celeste con i volants.
"Da 62 anni sò sposata co la gramigna, me fa allergia".
Ex impiegata statale, diplomata: "M'hanno rimandato a merceologia e dattilografia ma adesso c'ho la testa sveja, so pure le poesie".
Porgo il braccio d'appoggio.
Un, due, tre...un passo lungo e due piccoli, cammina e balla il valzer la signora Margherita, 93 anni e una camicetta celeste con i volants.
"Da 62 anni sò sposata co la gramigna, me fa allergia".
Ex impiegata statale, diplomata: "M'hanno rimandato a merceologia e dattilografia ma adesso c'ho la testa sveja, so pure le poesie".
Nata nel 1920: "Me li s'ho
visti tutti, Mussolini, Hitler..sò sempre stata controcorente dicevo
Duce, Duce alla fame ce conduce!".
Cavaliere del lavoro: "Per
l'attaccamento al servizio...sì, co lo spago!".
Ha un figlio e un marito
ma è separata: "Il marito te pò tradì, l'amica te pò tradì, l'unico che
non te tradisce mai sai chi è?Il cane. A meno che non va fori de testa
pure quello".
Le danno fastidio le scarpe: "Ho mannato la portinaia a
comperamme le ciabatte nove ma ha sbajato numero!".
Ha un'amica di 84
anni:" Me le devo trovà più giovani, quella guida pure, annamo a Ostia,
al mare, ma è arteriosclerotica, forse è mejo che in macchina non ce
monto più. L'altro giorno cercava il bagno e l'ha fatta in cucina. E poi
te lo dico, lo posso dì? E' 'na stronza! Una volta m'ha tolto
l'ombrello, me ce appoggiavo, ahò per poco non casco! Je rode che c'ho
la pensione de invalidità. Ma te che dici, je telefono? La devo
perdonà?".
Il figlio aveva un gatto: "Duecento euro pe faje il funerale e
s'è lamentato pure...ahò er funerale d'un cristiano costa pure deppiù,
per me mica pò spende solo duecento euro!".
Si tinge i capelli e non
passa sulle grate dei marciapiedi: "Nel quartiere io c'ho i fans, sò
caduta all'età mia e me sò rimessa in piedi. A 93 anni!".
"...e pure se moro adesso... ma che me frega".
Mentre la accompagno a braccetto io?? Altri trent'anni portati così signora Margherita, altri trent'anni!
"...e pure se moro adesso... ma che me frega".
Mentre la accompagno a braccetto io?? Altri trent'anni portati così signora Margherita, altri trent'anni!
giovedì 4 luglio 2013
Loredana
Un bar alle sette del mattino già infonde aroma di caffè lungo il marciapiede, ogni volta che entra o esce un cliente e si apre la porta d’ingresso.
L’ Happy Bar fa eccezione. Non
perché non disponga di ottimo caffè, piuttosto perché alle sette del mattino è
ancora chiuso. Per una colazione con brioche e cappuccino, occorre trovare un
altro posto. A meno che non si possa attendere fino alle 8 e 30, quando arriva
Loredana.
Sono trent’anni che Loredana
solleva la saracinesca dell’Happy Bar a quell’ora, per poi abbassarla di nuovo alle 21. Tranne se gioca la Roma. In quel caso il bar non chiude fino a
quando non è terminata la partita.
Lo sanno tutti ormai, i clienti
della via, gli unici a frequentare l’Happy Bar, conoscono le abitudini di
lavoro di Loredana e nessuno si azzarda a contestarle. Per le occasioni in cui
si deve partire presto al mattino o si gradirebbe anche un goccetto prima di
andare a letto la sera, magari di ritorno da un viaggio o dopo una lunga
giornata, i frequentatori dell’Happy Bar sono addirittura disposti a rinunciare
al desiderio del momento, pur di non tradire il loro solito spazio
esclusivamente a quel bancone. Nessuno cambia bar.
“Loredana devi annà a studià,
nun fa come tu madre che dopo te ritrovi ignorante e tajata fori dalla bella
vita. La voi fà la bella vita, Loredà? Ah, se ce potessi entrà ‘na volta in quei
palazzi coi portoni grandi e che dentro c’hanno er cancello in fero battuto co
tutti gli rzigogoli e pure er giardino! Me basterebbe fermamme in mezzo a
quelle piante e guardà drento le finestre, tutte quelle stanze cor soffitto a
cassettoni in ‘sti tempi moderni, certo che aveccelo quer soffitto significa
esse proprio ricchi, i cassettoni!! Loredà, ascortame, ce vole che stai sopra i libri, fallo
‘no sforzo a mamma!”
Così ha sempre detto la
signora Lucia, la madre di Loredana, e la figlia fino ai quattordici anni sopra
ai libri c’è stata, però nascondendo sotto le lettere che scriveva al fidanzatino
Giò o le canzoni di cui imparava subito a memoria il testo, non appena le
ascoltava alla radio tre volte.
Loredana, finita la scuola dell’obbligo, era già dietro al bancone del bar. Incinta.
Loredana, finita la scuola dell’obbligo, era già dietro al bancone del bar. Incinta.
“E mò che famo? Chi je dà da
magnà a sto fijolo? Loredà già me spacco la schiena a lavà tutte le scale der palazzo bello, mica ce posso sfamà pure un nipote, nun basta, ce lo sai. E la bancarella de tu padre nun venne miracoli,
mica a casa nostra ce stà er soffitto a cassettoni? Quanto me piace quer soffitto! Ammò ce devi pensà tu a stà creatura nova, sarà sempre mi nipote ma più de tanto affetto nun je posso dà... Perché nun m’hai dato retta, bastava no
sforzo in più sui libri... tutti sordi buttati.”
Ma Loredana non ha mai chiesto
nulla ai genitori da quando ha avuto in sé Luca, il figlio suo e di Giovanni.
L’Happy Bar apparteneva al
padre di Giovanni, il quale alla sua morte gli e lo ha lasciato.
Ma proprio Giovanni, un
malaugurato venerdì, è finito sotto un’auto, mentre usciva proprio dal suo bar. Non è
morto, ma ha riportato lesioni cerebrali che non gli hanno più permesso di
stare dietro al bancone. Ed è così che ne ha preso pieno possesso Loredana.
Nella via, le storie di ognuno
sono condivise di balcone in balcone, sui pianerottoli, lungo le panche della
chiesa, e quello che è accaduto a Giovanni viene raccontato quasi come una
disgrazia che poteva accadere a chiunque altro e di cui tutti si sono sentiti
parte. Da quel giorno a Loredana i clienti non sono mancati mai, neanche la
volta in cui fuori c’erano trenta centimetri di neve.
Loredana se ne accorge che i
suoi clienti le prestano attenzioni, i maschi però, non le loro mogli.
A quaranta cinque anni Loredana è una bella donna, mora, con i capelli sempre
sciolti anche se al bar dovrebbe tenerli legati, vestita di nero per nascondere
eventuali macchie di caffè e sulle labbra rossetto rosso, per sentirsi ancora
attraente. E lo è, gli e lo dimostrano tutti.
L’unico che non può goderne è proprio suo marito Giovanni. Ma a Loredana di questo non importa, da
quando ha avuto quell’incidente lei si è dedicata quotidianamente al lavoro,
per crescere il figlio Luca e mantenere l’assistenza in casa per il marito.
Ormai Luca è grande, lui sì che ha seguito le parole proprio di sua madre, di
Loredana, ed ha preso il diploma all’Istituto alberghiero con il massimo dei
voti, così ha trovato lavoro in uno dei ristoranti del centro, accanto a quei
palazzi con il soffitto a cassettoni che tanto piacevano alla nonna.
Loredana si alza presto al
mattino ma apre il bar alle 8 e 30 perché aspetta l’arrivo della donna che
accudisce il marito, nel frattempo parla con Giovanni, cerca di tenerlo attivo
almeno con il pensiero, gli racconta dei discorsi che fanno gli altri uomini al
bar, di chi si è sposato, di chi ha aperto un negozio nuovo, mentre si occupa
delle faccende di casa. Loredana è convinta che il marito sia in grado di
capire le sue parole, anche se fatica a rispondere anzi, ad articolare
qualsiasi suono. Abitano nella vecchia casa lasciata anche quella dal padre di
Giovanni, gli infissi stanno cedendo, se nevicherà di nuovo sarà troppo freddo
per lui, che sta sempre seduto, sulla sedia a rotelle.
Un cliente del bar ha promesso
a Loredana che andrà a mettere gli infissi nuovi, ad un prezzo scontato, solo
per farle un favore.
Loredana sa come trattare gli avventori,
ha sempre un sorriso per tutti, nonostante conduca una vita affatto leggera ma sa come nasconderla e trova ogni modo per proteggerla dalle dicerie altrui.
Quando c’è la partita della
Roma, anche Loredana partecipa ai cori, gioisce se c’è un goal, esprime pareri
sui giocatori e tutti la accettano come fosse una di loro, della curva, solo
che al momento non può vedere la partita allo stadio ma se la gode nel suo bar,
dietro al bancone, davanti a quello schermo grande che da quando impera,
all’Happy Bar, fa sentire gli abitanti della via un po’ più partecipi dei fatti
del mondo.
Loredana è una donna scaltra,
una volta si è difesa dalle avances di un cliente che aveva aspettato l’ora di
chiusura per spingerla nello sgabuzzino ma lei ha urlato e si è dimenata con
una tale forza che l’uomo ha preferito
lasciare in tempo la sua preda ed evitare di cacciarsi ulteriormente nei guai. Quell’uomo
era di passaggio, di certo non un habitué, e il giorno dopo Loredana non ha
fatto altro che raccontare a tutti l’accaduto, per dimostrare che sapeva reagire alle violenze dei
vigliacchi e che, soprattutto, avrebbe deciso lei se e quando avere un altro
uomo che non fosse Giovanni, quel povero marito a cui troppo presto la vita
aveva negato la felicità coniugale.
"Me volevi tutta, brutto stronzo? T'ho mannato via co 'na manciata de capelli in mano. Facce 'na corda e strozzate, prima de ficcà la lingua addosso a n'altra donna!"
Non subisce l' esistenza Loredana, lei la graffia, con quelle unghie colorate di rosso che ogni giorno ripassa di nuovo smalto, perché l’acqua e i detersivi ne scalfiscono sempre piccoli segmenti e a lei non piace risultare scomposta.
"Me volevi tutta, brutto stronzo? T'ho mannato via co 'na manciata de capelli in mano. Facce 'na corda e strozzate, prima de ficcà la lingua addosso a n'altra donna!"
Non subisce l' esistenza Loredana, lei la graffia, con quelle unghie colorate di rosso che ogni giorno ripassa di nuovo smalto, perché l’acqua e i detersivi ne scalfiscono sempre piccoli segmenti e a lei non piace risultare scomposta.
Loredana non ha mai sporto denuncia
e nessuno si è preoccupato di convincerla a recarsi dai carabinieri. L’Happy
Bar è un luogo in cui sono in molti ad avere commesso errori passati, piccoli
furti, ricettazione, spaccio, risse, animi dalla gioventù turbolenta che hanno
scontato le loro pene ed hanno anche accettato la vita come un limbo che dista
soltanto un passo, quello falso, dall’inferno.
Un giorno, nel mese di Agosto,
a casa di Loredana arriva una lettera dell’Inps che attesta la revoca della
pensione di invalidità beneficiata da Giovanni, a seguito della morte
dell’uomo.
Ma Giovanni sta ancora diritto
sulla sua sedia a rotelle, mangia, beve, guarda fuori della finestra, a volte
abbozza pure un sorriso, anche fosse soltanto uno spasmo involontario dei muscoli
facciali. Giovanni è vivo, non è morto.
“Ma che se sò impazziti? Che se magna 'sta gente?? Sto
caldo j’ha dato ar cervello?! Famo, famo che è tutto 'no scherzo, se sò sbajati, sarà n'omonimo, te chiami Giovanni Gregori, se sò sbajati ma nun è che a Roma ce ne stanno tanti de Giovanni Gregori, o forse sì, alora ce devo capì! Anzi nun ce sta proprio niente da capì.E' n'errore demmerda e basta. Che ce vonno revocà?!? Mò me danno spiegazioni, mo
je faccio vedé io!”
Loredana si infuria, le trema la voce, stringe i pugni per non urlare altro strazio davanti al marito. Si graffia da sola lo smalto
sulle unghie per comprimere la rabbia generata da quel terribile quanto
doloroso errore della burocrazia.
Poi guarda Giovanni, il marito sta
sudando, dietro la schiena ha un asciugamano bagnato. E' l’estate più calda del
millennio, così dicono al bar, e tutte le piante del balcone sono morte, loro
sì, nell’arco di due giorni.
Quella mattina Loredana non va
ad alzare la saracinesca, non aspetta nemmeno che arrivi l’assistenza,
probabilmente le hanno tolto già anche quella. Con tutta la forza che l’afa le
concede, carica Giovanni sulle spalle e lo sistema in auto, poi infila dietro la
carrozzina.
E partono.
E partono.
La donna guida in mezzo al
traffico, Giovanni le è accanto e osserva la città che è meno caotica del solito,
molte persone sono in ferie o in coda per il mare. Da tempo Giovanni non
faceva un giro oltre le pareti dell’appartamento, nonostante quel respiro che viene dall'asfalto, sta dritto sul sedile, sembra quasi riprendere
le forze.
Arrivano alla sede dell’Inps.
Loredana sistema di nuovo il marito sulla sedia a rotelle, lo spinge per il piazzale assolato e i due entrano nello stabile.
Loredana sistema di nuovo il marito sulla sedia a rotelle, lo spinge per il piazzale assolato e i due entrano nello stabile.
Nell’ ufficio pensioni, l’aria
condizionata non funziona. Un impiegato è seduto alla scrivania con le braccia
conserte, le temperature rallentano le energie ed anche il desiderio di
applicarsi. L'impiegato ha però posizionato un ventilatore accanto a sé che gli
concede un dignitoso refrigerio.
Appena Loredana nota il
ventilatore, valica decisa lo spazio dei visitatori, afferra il
marchingegno e lo sistema accanto alla sedia a rotelle del marito.
“E se quarcuno toglie ‘sto
coso da qui è un uomo morto. Lui è morto, no Giovanni mio!”
L’impiegato ha un sussulto che
lo risveglia dal torpore del caldo, guarda Loredana, poi si alza e si avvicina, domanda
spiegazioni. La donna ormai in preda alla foga e ad un coraggio furente chiede
di parlare con il Direttore. Dopo dieci minuti quello arriva, alto, smagrito, una carnagione che non vede il sole da anni, con la giacca che tradisce il sudore sotto il braccio. Su una mano stringe un fazzoletto, l'altra la allunga a Loredana.
Cosa si siano detti il Direttore
e Loredana, cosa abbia detto la donna per prima non è stato mai raccontato in
maniera precisa al bar. Chi dice che lei lo abbia preso a male parole, chi
sostiene che gli abbia tirato in faccia la lettera, chi addirittura il
ventilatore. Una cosa è certa, che non se ne sia andata fino a quando non ha ricevuto in mano la
revoca della sospensione.
C’è pure chi afferma che Giovanni, proprio lui, abbia
biascicato una sola parola, in quella occasione, dopo anni di silenzio:
“Vaffanculo”.
Fatto sta che Loredana e
Giovanni sono poi usciti dal palazzo con tanto di scuse da parte di tutto
l’Ufficio Inps.
Loredana quella mattina non ha
aperto proprio l’Happy Bar, si è concessa una giornata di ferie, ha preso la
direzione del mare e ha portato Giovanni a fare una passeggiata lungo il molo.
Hanno anche comperato un gelato artigianale. “Te piace Giovà? Cattivo nun se
po’ dì, ma manco bono. E’ mejo quello der bar nostro, vero Giovà?”.
Giovanni davanti a quel mare,
con il viso della moglie difronte che gli imboccava il gelato aiutandosi con un
cucchiaino, ha avuto uno spasmo muscolare.
“E’ stato er sorriso più bello
che m’avesse fatto mai, sembravamo du ragazzini”.
Così Loredana lo ha raccontato
a tutti, il giorno dopo, l’aspettavano, e non mancava nessuno al bancone dell’Happy
Bar.
Il compagno di banco
In piazza “San Ciriaco Diacono e Martire” c’è una scuola elementare.
Un bambino di otto anni trascorre
spesso la pausa della ricreazione rivolto verso il muro, nell’angolo dello
stanzone della scuola, mentre gli altri scolari riempiono di chiacchiericcio, risatine
e briciole, lo spazio intorno.
Quel bambino sta nell’angolo
quando la maestra lo mette in punizione. Oggi è uno di quei giorni.
- Mi scappa la pipì! . - esclama il bambino.
- Resisti, non è ancora terminata la tua punizione.
- Mi scappa tanto.
- Devi imparare a trattenere gli istinti. Su, è un
piccolo sforzo, obbedisci per una volta alla maestra.
- Sto per farla.
- E va bene! Andiamo al bagno allora, ti seguirò
fino alla porta. Fai in fretta, l’ora della merenda è quasi finita e dobbiamo
tornare in classe.
Così il bambino si volta,
lascia l’angolo del muro e passa a testa alta in mezzo agli altri alunni che lo
guardano ma non osano schernirlo. Egli è conosciuto a scuola come un tipo poco
socievole e, soprattutto, capace di improvvisi scatti di ira. Difficile da
immaginare per un corpo così minuto eppure, proprio stamattina, il bambino ha
sollevato una sedia e l’ha scagliata contro un compagno soltanto perché il malcapitato
aveva confuso una penna con la sua.
Il bambino entra in bagno. La
maestra aspetta fuori.
Passa meno di un minuto. Il
bambino esce dal bagno.
- Com’è possibile? Non hai fatto niente, vero? Non
ho sentito la tua pipì. Non era mica una bugia per prendere in giro la
maestra?!
Il bambino alza gli occhi
verso la donna e scoppia in una fragorosa risata.
- Sei un
maleducato, insolente, farò chiamare i tuoi genitori. E adesso torna
immediatamente nell’angolo!
Il bambino attraversa di nuovo
lo stuolo dei compagni, sempre più allibiti da quella sfrontatezza. Egli non ha
alcuna fretta di tornare al suo posto anzi, quando arriva in mezzo allo
stanzone, rallenta il passo e guarda tutti, uno ad uno, con un sorriso altro
che benevolo; poi si riposiziona, il viso rivolto verso il muro.
-
Ma… ma… ti rendi conto che il tuo è un
comportamento da… da…da… bambino cattivo?.
Silenzio.
- … Vuoi rispondere alla tua maestra, per favore?
Di nuovo silenzio.
Intanto gli altri bambini
smettono di muoversi o correre tra lo stanzone e il corridoio, a piccoli passi
si avvicinano tra loro, nessuno ha il coraggio di fiatare. Cartacce di merendine
a terra, occhi calamitati verso l’angolo, da dove, ad un tratto:
-
La mia maestra ha i capelli lunghi ma io gli e
li taglierò con le forbici.
-
Che cosa? – esclama incredula l’insegnante.
-
Poi raccoglierò i capelli e li butterò nella
pentola grande giù alla mensa. Mescolati al sugo. Tutti i bambini mangeranno i
capelli della maestra. Qualcuno si strozzerà?
-
Che parole sono queste? Smettila di dire simili
cattiverie.
Il bambino non si volta ma è
il suo corpo che inizia a vibrare in preda ad una strana estasi, le parole
escono lo stesso una dopo l’altra:
-
Alla mia festa di compleanno inviterò i compagni
di classe. Da bere ci sarà alcool per tutti.
-
Cosa stai dicendo? E perché tremi? Hai freddo?
-
Poi spegneremo insieme le candeline. Alcool 90°
gradi e succo di frutta.
- Calmati e… ritira subito queste parole. Sono
scherzi che non si fanno, brutti scherzi, non vanno neanche pensati. Lo vedi
che poi ti senti male anche tu?
- Le gole dei compagni sputeranno fiamme. La scuola andrà a fuoco. Tutti bruceranno
dalla bocca! Lingue squagliate, denti rotti, labbra a pezzettini.
-
Ma cosa dici, come ti vengono in mente simili
cattiverie e…cos’hai?
-
Brandelli dappertutto. E capelli in gola.
-
Ma perché tremi? Fermati …i tuoi compagni ti
ascoltano, chiedi subito scusa!
- Bruciato. Bruciato! Tutto diventerà nero,
puzzerà di cenere e sarà… bello! Al fuoco i colori, i libri, gli astucci, i
grembiuli.
- Smettila!
- I compagni di banco e le maestre. Devo fare pulizia, buttare via tutto e mettere in ordine la cameretta. Invece no, brucerò anche quella, così sarà in ordine subito. Non vedo l’ora!
- Smettila!
- I compagni di banco e le maestre. Devo fare pulizia, buttare via tutto e mettere in ordine la cameretta. Invece no, brucerò anche quella, così sarà in ordine subito. Non vedo l’ora!
-
Basta! Silenzio, smettila ho detto!
Per le ultime esclamazioni
provenienti da un corpo che ormai trema da capo a piedi e vibra come una
fiammella, la maestra si alza di scatto
dalla sedia poi rapida, agli altri bambini, quasi sottovoce:
-
Voi tornate in classe, la ricreazione è finita.
Svelti!
Una biondina con due lunghe
trecce che cadono lungo il grembiule, senza ben comprendere la gravità della
situazione:
-
Maestra, e tu non vieni?
Il bambino vibrante a sorpresa
rincara la dose:
-
Non può.
-
Certo, arrivo subito, andate in classe voi ora,
fate in fretta. – ribatte pronta la maestra.
-
Maestra lo sai che non è vero. – insiste lui.
I bambini si allontanano
velocemente da quell’angolo dello stanzone mentre la maestra tenta un passo
verso lo scolaro ormai fuori controllo:
-
Stai delirando, cosa ti succede, ti senti male,
ti fa male la testa? Parla con la tua maestra!
-
Resterai qui con me, sono un bambino, potrei
farmi del male se mi lasci da solo.
-
Ma certo mi vedi, voltati, non mi muovo da qui.
-
Non è bene lasciare i bambini da soli. Non è
bene.
-
Tu non sei solo, guardami, sono con te.
-
Ma cosa è bene e cosa male? Lo insegnano le
maestre?
-
Ve l’ho spiegato tante volt..
- E a loro chi gli e lo ha insegnato? Poi qualcuno
brucia i bambini se rimangono da soli. Questo lo sanno le maestre?
-
Ricominci con queste brutte parole, no. Calmati,
ti preg…
-
Qualcuno i bambini li prende e li brucia.
-
Ma non è vero, tutti vogliono bene ai bamb..
-
E’ falso! Bugia, bugia!! C’è scritto sui libri.
-
Ma cosa, dove lo hai letto?
-
C’è scritto?! Chi lo ha scritto?
-
Scritto… cosa?
-
Che i bambini escono dalla torre come fumo, al
fuoco, non li lasciate soli, qualcuno li prende, brucio anch’io. No, io no. Io
non brucio. I miei capelli no. Io non posso. I capelli dei bambini sono troppo
leggeri. Poi si strozzano.Volano via. Allora gli do fuoco. La cenere vola via. Li guardo, li
voglio tutti.
-
Ma che diavolo…
-
E’ questa la verità, solo questa è la storia vera!
La maestra fissa la schiena
del piccolo, non riesce a parlare.
Suona la campanella. Il rumore metallico scuote l'animo atterrito della maestra.
Quando il suono finisce, la donna riesce a prendere un ampio respiro. Poi allunga un braccio verso la spalla destra del bambino, la tocca e lascia che lentamente il palmo si distenda per quel contatto. Il peso della mano preme sulla spalla acerba. Il corpo del piccolo lentamente smette di tremare. La mano della maestra avverte che il grembiule è bagnato, sudato, il respiro veloce, è il cuore del bambino che sotto batte forte. Silenzio.
Suona la campanella. Il rumore metallico scuote l'animo atterrito della maestra.
Quando il suono finisce, la donna riesce a prendere un ampio respiro. Poi allunga un braccio verso la spalla destra del bambino, la tocca e lascia che lentamente il palmo si distenda per quel contatto. Il peso della mano preme sulla spalla acerba. Il corpo del piccolo lentamente smette di tremare. La mano della maestra avverte che il grembiule è bagnato, sudato, il respiro veloce, è il cuore del bambino che sotto batte forte. Silenzio.
-
Finita. La ricreazione è finita. Andiamo in
classe.
-
… La mia punizione.
-
Anche quella, finita. Non preoccuparti. Torniamo
dai tuoi compagni.
-
I miei compagni. Sono rimasti soli fino adesso?
-
Sì…cioè no…ti stanno aspettando…soli, per un
attimo…
Silenzio.
-
E la bambina bionda con le trecce?
- Chi… Lucrezia? E’ in classe con gli altri. Sempre
al primo banco, per stare vicino alla maestra, che brava bimba. Lo sai che
Lucrezia è così buona.
-
Voglio sedermi vicino a lei.
-
A Lucrezia? Va bene…Ti farà bene.
-
Non deve mai più rimanere sola.
Il bambino rimasto fino ad ora
verso il muro, si volta.
I capillari degli occhi sono
tutti lì, rossi a fissare il corridoio dall’altra parte dello stanzone.
Senza rivolgere uno sguardo alla maestra, egli si stacca dal muro e attraversa lo spazio lasciato deserto. Si dirige verso la sua classe.
La maestra subito lo segue ma non riesce a stargli dietro, lui è rapido nei passi, lei per raggiungerlo deve quasi correre.
Senza rivolgere uno sguardo alla maestra, egli si stacca dal muro e attraversa lo spazio lasciato deserto. Si dirige verso la sua classe.
La maestra subito lo segue ma non riesce a stargli dietro, lui è rapido nei passi, lei per raggiungerlo deve quasi correre.
Arrivati sulla porta della terza
D, il bambino si blocca, abbassa la testa ma alza lo sguardo.
-
Maestra, diglielo tu a Lucrezia.
-
Che sarai il suo compagno di banco?
-
No. Che voglio
le sue trecce.
domenica 2 giugno 2013
Oinch,oinch,oinch
Apro il cancello della palazzina e... sto.
Un'auto è parcheggiata a trenta centimetri dal cancello. Non posso uscire. Per farlo potrei solo arrampicarmi sul cofano. Sono anni che desidero arrampicarmi sui cofani.
Dal bar di fronte qualcuno mi vede, quelli controllano tutto: "Ahoo, mo pe uscì te ce vole n'astaa!!"
Già, un'asta. Da dare sulla schiena al furbo che ha parcheggiato, penso io.
Mentre penso, butto un occhio dentro l'auto. Ma c'è un bambino?!?
Sta dormendo nel seggiolino sul sedile posteriore.
Intanto qualcuno del bar ha avvisato il proprietario dell'auto, infatti un uomo esce e si avvicina.
Oinch, oinch, oinch, mastica una gomma e mi guarda, sorriso sornione, di un uomo pancione.
Machetteridi?!Penso ancora io, le penso tutte e me le tengo per me, forse è meglio.
Anzi no: "Non ha lasciato spazio per uscire, vede, non c'è proprio spazio".
L'uomo sale in auto e parcheggia poco più avanti, di quel tanto che basta per lasciar libero il passaggio davanti al cancello. Oinch, oinch, oinch, le mie parole completamente ignorate, impastate dal suono della gomma.
Poi lui se ne ritorna al bar.
Ed io esco.
Ma c'era un bambino.
Quel bambino che ha continuato a dormire nel suo seggiolino sul sedile posteriore, ignaro di tutto.
Di essere parcheggiato a volte qui, a volte lì, un pò più avanti, un pò più indietro....
Un'auto è parcheggiata a trenta centimetri dal cancello. Non posso uscire. Per farlo potrei solo arrampicarmi sul cofano. Sono anni che desidero arrampicarmi sui cofani.
Dal bar di fronte qualcuno mi vede, quelli controllano tutto: "Ahoo, mo pe uscì te ce vole n'astaa!!"
Già, un'asta. Da dare sulla schiena al furbo che ha parcheggiato, penso io.
Mentre penso, butto un occhio dentro l'auto. Ma c'è un bambino?!?
Sta dormendo nel seggiolino sul sedile posteriore.
Intanto qualcuno del bar ha avvisato il proprietario dell'auto, infatti un uomo esce e si avvicina.
Oinch, oinch, oinch, mastica una gomma e mi guarda, sorriso sornione, di un uomo pancione.
Machetteridi?!Penso ancora io, le penso tutte e me le tengo per me, forse è meglio.
Anzi no: "Non ha lasciato spazio per uscire, vede, non c'è proprio spazio".
L'uomo sale in auto e parcheggia poco più avanti, di quel tanto che basta per lasciar libero il passaggio davanti al cancello. Oinch, oinch, oinch, le mie parole completamente ignorate, impastate dal suono della gomma.
Poi lui se ne ritorna al bar.
Ed io esco.
Ma c'era un bambino.
Quel bambino che ha continuato a dormire nel suo seggiolino sul sedile posteriore, ignaro di tutto.
Di essere parcheggiato a volte qui, a volte lì, un pò più avanti, un pò più indietro....
lunedì 4 marzo 2013
Donna in bilico
“Anche
stanotte non ho chiuso occhio. Da quando sto a Parigi, non riesco a dormire.
Non sono i rumori
della città a tenermi sveglia ma la luce. Questa luce artificiale che mi segue tutto
il giorno. Coprirei il mio viso con le mani, mi abbasserei le palpebre a forza,
se potessi. Più di cinque secoli nella stessa posizione, ho anche i palmi gonfi
ormai. Eccolo, di nuovo il soffio lungo la schiena. Eppure nella sala non ci
sono finestre. Sarà la brezza del fiume, il vento che alita tra quelle valli,
dietro di me. Non posso vederle ma so che ci sono. Non è il sole a
scaldarmi, piuttosto i capelli che hai dipinto oltre le mie spalle. Dovrei
ringraziarti per questo? Leonardo, te lo dico, quanto vorrei scendere da qui.”
A pronunciare
queste parole è una donna sulla cinquantina, lineamenti d’altri tempi,
abito scuro, scollato.
La donna è seduta in bilico sulla parte esterna della ringhiera di un terrazzino, al terzo piano di un palazzo.
La donna è seduta in bilico sulla parte esterna della ringhiera di un terrazzino, al terzo piano di un palazzo.
Sotto di lei,
in mezzo alla strada, una signora in pantofole si stringe nel maglione mentre
tiene lo sguardo rivolto all’insù, è la vicina di casa della donna
in bilico.
Un uomo, che sta passando svelto davanti a quel palazzo, nota la signora in pantofole, segue la direzione del suo sguardo e si
accorge della donna sulla ringhiera.
“Oddio, ma
cosa sta facendo lassù?”
“Cerca la
posizione giusta.” – risponde la donna, la vicina di casa, senza distogliere lo
sguardo verso l’alto.
“Ma è
pericolosissimo, quale posizione giusta? Deve scendere immediatamente, qualcuno
faccia qualcosa! Da quanto tempo è lì? Possibile che nessuno sia ancora intervenuto?.”
– il passante non riesce a credere a ciò che gli si presenta davanti quella
mattina quando, come tutti gli altri giorni, è in giro per entrare ed uscire
da vari uffici e sbrigare la solita burocrazia.
“Saranno
dieci minuti che sta così ".
"Quanti?!" .
"Il tempo di ripetere quella manfrina, ormai conosco le parole a memoria."
"Quanti?!" .
"Il tempo di ripetere quella manfrina, ormai conosco le parole a memoria."
"Cosa sta
dicendo?" - incalza sempre più attonito il
passante.
"Quella
povera donna cerca solo di essere ancora la passione del marito.
"Che?".
" Era un pittore, Leonardo Gasparoni. Lo conosce?".
"Che?".
" Era un pittore, Leonardo Gasparoni. Lo conosce?".
Il passante
guarda la signora con l’espressione di chi pensa che probabilmente avrebbe
dovuto conoscere tale Leonardo Gasparoni ma forse anche no.
"E’ morto".
"No, non lo
conosco". – il passante si sente quasi in difetto per quella mancanza.
"Un grande
artista, grande. Non mi intendo di certa roba ma i quadri del Signor Gasparoni erano proprio
belli, solo ritratti. Fare ritratti è più difficile che disegnare mele e pere, è
d’accordo? I visi non rimango sempre uguali, bisogna sbrigarsi, passa un minuto
e la ruga cambia. Lei dipinge?".
"Io? No, non
sono mai stato bravo con il disegno". – il passante ascolta e risponde alla signora ma rimane con gli occhi
incollati a guardare quella donna seduta sulla ringhiera del terzo piano. Come volesse scongiurare il peggio solo con lo
sguardo.
"E chi dice
che bisogna essere bravi. Ci vuole estro! Quando era vivo il marito, i Gasparoni
mi chiamavano per fare le pulizie così le vedevo. Tutte quelle facce appese in
ogni angolo della casa, persino in bagno. Non erano solo dipinti. Quella era gente viva. Viva. Mi capisce? Le sognavo anche la notte.”
"Ma lei non lo
sa?".
"Che il
marito è morto? Ma certo! Non è mica matta. Solo non se ne vuole
fare una ragione. Negli ultimi tempi il Signor Leonardo si era messo in testa
di copiare la Gioconda, diceva che la sua sarebbe stata un’opera migliore di
quella che sta al Louvre. Secondo me ci poteva riuscire benissimo. Una volta ha anche messo il pennello nel caffè, scambiandolo per un cucchiaino. Non vedeva altro.".
La donna si
avvicina al passante, posa una mano sull’avambraccio di lui e abbassa il tono di
voce, con tono confidenziale:
"Un giorno la
Signora Gasparoni ha avuto la febbre alta, delirava quasi, fortuna che ho
pensato io a comperare le medicine, altrimenti nessuno sarebbe uscito da
quell’appartamento per assistere la poveretta... Quella volta ho capito".
Poi la donna torna nella posizione iniziale, stringendosi sempre più nel maglione,
l’aria del mattino è ancora fresca. Gli occhi a puntare il terzo piano.
"Capito cosa?".
"Capito cosa?".
"Una volta
sono andata in gita a Parigi, ha presente i viaggi organizzati? Da sola non mi
muovo, ma mi sono iscritta al gruppo vacanze della parrocchia con la signorina
Marisa, si fa ancora chiamare così ma ha settantadue anni Marisa la signorina. Comunque, quella volta, ho visto proprio La Gioconda. Quella famosa! Ma cosa
avrà di tanto importante ho chiesto alla Marisa, era un quadro piccolo, lungo
un corridoio, neanche la signorina di settantadue anni ha saputo darmi una
risposta.
"Ma cosa c'entra?!?"
"Eh, l’arte rende pazzi, ignoranti ooo…" La signora guarda l’uomo al suo fianco senza terminare la frase. L’uomo ascolta, aspetta, poi si volta. I due si fissano.
"Ma cosa c'entra?!?"
"Eh, l’arte rende pazzi, ignoranti ooo…" La signora guarda l’uomo al suo fianco senza terminare la frase. L’uomo ascolta, aspetta, poi si volta. I due si fissano.
"Oppure?".
"Gelosi!"
"Gelosi?"
"Ma sì!"
"Mi faccia capire".
"La signora Gasparoni era gelosa di quella Gioconda, cioè non del quadro, quello è un quadro, ma della donna dipinta, la Monnalisa. Il marito ci parlava, diceva che aveva una bellezza irraggiungibile da qualsiasi altra donna e quella posizione così accattivante, accattivante diceva il signor Gasparoni, seduta di tre quarti, per me davvero scomoda, io sentivo tutto mentre facevo le pulizie e la vedevo poi la signora Gasparoni che cercava in ogni modo di assomigliare a quell’altra donna e avere ancora addosso gli occhi del suo uomo, altro che la Monnalisa. Ecco perché ora sta lassù, in faccia al cielo, dove riposa il marito in eterno, e tenta di mettersi in quella posizione, davanti a lui, accattivante, diceva. Per riconquistare il suo uomo - Lo sa, al funerale eravamo soltanto in cinque, la Gasparoni, io, la signorina Marisa, il prete. E il morto."
"Gelosi?"
"Ma sì!"
"Mi faccia capire".
"La signora Gasparoni era gelosa di quella Gioconda, cioè non del quadro, quello è un quadro, ma della donna dipinta, la Monnalisa. Il marito ci parlava, diceva che aveva una bellezza irraggiungibile da qualsiasi altra donna e quella posizione così accattivante, accattivante diceva il signor Gasparoni, seduta di tre quarti, per me davvero scomoda, io sentivo tutto mentre facevo le pulizie e la vedevo poi la signora Gasparoni che cercava in ogni modo di assomigliare a quell’altra donna e avere ancora addosso gli occhi del suo uomo, altro che la Monnalisa. Ecco perché ora sta lassù, in faccia al cielo, dove riposa il marito in eterno, e tenta di mettersi in quella posizione, davanti a lui, accattivante, diceva. Per riconquistare il suo uomo - Lo sa, al funerale eravamo soltanto in cinque, la Gasparoni, io, la signorina Marisa, il prete. E il morto."
Il passante
rimane un attimo in silenzio ad osservare l’equilibrista, quella donna sola.
Poi sbotta.
"E i
pompieri, la polizia, non stanno facendo nulla!? Perché non li ha chiamati? Non
interviene nessuno, com’è possibile tutto questo?" .
"Qui nel quartiere
conosciamo già come andrà a finire, non è la prima volta. Anzi, sa mica che ore sono?"
L'uomo non fa in tempo a rispondere che, dalle campane
della chiesa, si sentono in quell’istante nove rintocchi.
"Perfetto,
orario di apertura del Museo. Ora faccia silenzio. Ci siamo."
Dal terzo
piano giunge la voce della donna seduta sulla ringhiera, con un tono tale da
poterne udire distintamente le parole:
"Tra poco entreranno
migliaia di occhi, come ogni giorno, e mi supplicheranno di essere compatiti,
aiutati, desiderati. E’ forse questa la mia funzione? Può darsi. Se mi hai
creata per alleviare la solitudine del popolo, allora ho deciso, resterò qui! Che
non manchi mai a nessuno uno sguardo di comprensione."
Pronunciate
queste parole, la donna del terzo piano, con stupefacente agilità, alza le
gambe e scavalca la ringhiera, rientrando così nella parte interna del
terrazzino, al sicuro. Apre la portafinestra per poi richiuderla dietro di sé.
Scompare oltre i vetri e allo sguardo di
chi è rimasto sotto.
"Visto? E’
di nuovo tutto finito." – conclude rasserenata la vicina di casa - "Possiamo andare".
"Come di
nuovo? Finito? E se quella donna ci riprova? Non può rischiare così la propria
incolumità, mi sembra assurdo, qui c'è bisogno di un ricovero!".
" Ah, ma quale
ricovero? E crede che non lo farebbe anche dalla finestra di un ospedale, non si affaccerebbe ogni giorno anche da lì? Non
le rimane altro ormai, niente figli, mai più marito…”
"Almeno
sarebbe controllata a vista!"
"E noi cosa
abbiamo fatto? Anche qui è guardata a vista da me, da lei, dai passanti che per
la Signora Gasparoni sono come i visitatori del Museo".
Il volto del
signore acquista un’espressione di totale incredulità. La vicina di casa invece
concede al passante le ultime definitive spiegazioni, quasi fosse una guida
turistica.
"La rendiamo
contenta così, mi segue? Anzi grazie, meno male che non ero sola, anche oggi abbiamo
realizzato il suo gioco".
"Gioco?"
"Qualcuno che si fermi a guardarla e ad ascoltarla con attenzione, almeno per un istante."
"Gioco?"
"Qualcuno che si fermi a guardarla e ad ascoltarla con attenzione, almeno per un istante."
"Sta dicendo che è tutto finto? Quella donna in bilico sulla ringhiera del terzo piano è
solo una messa in scena?".
"Un quadro".
"Un quadro? Ma
cosa? Che cosa significa?".
"Che a volte
basta così poco per sopravvivere".
Il signore in
impermeabile rimane ammutolito, troppi pensieri gli si affastellano in testa,
quell’aria frizzantina del mattino poi inizia a sentirla, gli stringe la nuca.
L’uomo osserva il volto sereno della donna in pantofole poi si volge attorno.
L’edicolante dall’altra parte della strada, i ragazzi fermi ad aspettare
l’autobus, pure una vecchietta che porta a spasso il cane, hanno tutti gli
occhi puntati su di lui.
E’ la donna a
rompere il silenzio:
"Torno alle
mie faccende domestiche… posso offrirle un caffè?"
Sconcertato, l'uomo guarda l’orologio che lo riconduce alla
sua realtà, sono passate le nove ormai da alcuni minuti.
"La ringrazio
ma sono in ritardo, mi aspettano in ufficio. Mi dispiace...gradirei volentieri, mi creda. Devo proprio
andare".
La vicina di
casa allunga una mano infreddolita e stringe quella calda del signore:
"Allora
arrivederci".
"... Arrivederci".
"E grazie".
"Di cosa?... - l'uomo rimane con le parole in bocca, non trova nulla da aggiungere.
"E grazie".
"Di cosa?... - l'uomo rimane con le parole in bocca, non trova nulla da aggiungere.
La donna allora si avvia al portone del palazzo. Prima di infilare la chiave nella toppa si
volta, l’uomo è ancora lì con lo sguardo perso tra l’alto, il basso e
tutt’attorno.
"Ah, la
prossima volta le mostrerò le foto di Parigi!"
"Sì... la prossima...volta" - balbetta il signore,
stringendosi nell’impermeabile beige.
Poi il portone si
chiude. La donna scompare lungo scale.
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