“Anche
stanotte non ho chiuso occhio. Da quando sto a Parigi, non riesco a dormire.
Non sono i rumori
della città a tenermi sveglia ma la luce. Questa luce artificiale che mi segue tutto
il giorno. Coprirei il mio viso con le mani, mi abbasserei le palpebre a forza,
se potessi. Più di cinque secoli nella stessa posizione, ho anche i palmi gonfi
ormai. Eccolo, di nuovo il soffio lungo la schiena. Eppure nella sala non ci
sono finestre. Sarà la brezza del fiume, il vento che alita tra quelle valli,
dietro di me. Non posso vederle ma so che ci sono. Non è il sole a
scaldarmi, piuttosto i capelli che hai dipinto oltre le mie spalle. Dovrei
ringraziarti per questo? Leonardo, te lo dico, quanto vorrei scendere da qui.”
A pronunciare
queste parole è una donna sulla cinquantina, lineamenti d’altri tempi,
abito scuro, scollato.
La donna è seduta in bilico sulla parte esterna della ringhiera di un terrazzino, al terzo piano di un palazzo.
La donna è seduta in bilico sulla parte esterna della ringhiera di un terrazzino, al terzo piano di un palazzo.
Sotto di lei,
in mezzo alla strada, una signora in pantofole si stringe nel maglione mentre
tiene lo sguardo rivolto all’insù, è la vicina di casa della donna
in bilico.
Un uomo, che sta passando svelto davanti a quel palazzo, nota la signora in pantofole, segue la direzione del suo sguardo e si
accorge della donna sulla ringhiera.
“Oddio, ma
cosa sta facendo lassù?”
“Cerca la
posizione giusta.” – risponde la donna, la vicina di casa, senza distogliere lo
sguardo verso l’alto.
“Ma è
pericolosissimo, quale posizione giusta? Deve scendere immediatamente, qualcuno
faccia qualcosa! Da quanto tempo è lì? Possibile che nessuno sia ancora intervenuto?.”
– il passante non riesce a credere a ciò che gli si presenta davanti quella
mattina quando, come tutti gli altri giorni, è in giro per entrare ed uscire
da vari uffici e sbrigare la solita burocrazia.
“Saranno
dieci minuti che sta così ".
"Quanti?!" .
"Il tempo di ripetere quella manfrina, ormai conosco le parole a memoria."
"Quanti?!" .
"Il tempo di ripetere quella manfrina, ormai conosco le parole a memoria."
"Cosa sta
dicendo?" - incalza sempre più attonito il
passante.
"Quella
povera donna cerca solo di essere ancora la passione del marito.
"Che?".
" Era un pittore, Leonardo Gasparoni. Lo conosce?".
"Che?".
" Era un pittore, Leonardo Gasparoni. Lo conosce?".
Il passante
guarda la signora con l’espressione di chi pensa che probabilmente avrebbe
dovuto conoscere tale Leonardo Gasparoni ma forse anche no.
"E’ morto".
"No, non lo
conosco". – il passante si sente quasi in difetto per quella mancanza.
"Un grande
artista, grande. Non mi intendo di certa roba ma i quadri del Signor Gasparoni erano proprio
belli, solo ritratti. Fare ritratti è più difficile che disegnare mele e pere, è
d’accordo? I visi non rimango sempre uguali, bisogna sbrigarsi, passa un minuto
e la ruga cambia. Lei dipinge?".
"Io? No, non
sono mai stato bravo con il disegno". – il passante ascolta e risponde alla signora ma rimane con gli occhi
incollati a guardare quella donna seduta sulla ringhiera del terzo piano. Come volesse scongiurare il peggio solo con lo
sguardo.
"E chi dice
che bisogna essere bravi. Ci vuole estro! Quando era vivo il marito, i Gasparoni
mi chiamavano per fare le pulizie così le vedevo. Tutte quelle facce appese in
ogni angolo della casa, persino in bagno. Non erano solo dipinti. Quella era gente viva. Viva. Mi capisce? Le sognavo anche la notte.”
"Ma lei non lo
sa?".
"Che il
marito è morto? Ma certo! Non è mica matta. Solo non se ne vuole
fare una ragione. Negli ultimi tempi il Signor Leonardo si era messo in testa
di copiare la Gioconda, diceva che la sua sarebbe stata un’opera migliore di
quella che sta al Louvre. Secondo me ci poteva riuscire benissimo. Una volta ha anche messo il pennello nel caffè, scambiandolo per un cucchiaino. Non vedeva altro.".
La donna si
avvicina al passante, posa una mano sull’avambraccio di lui e abbassa il tono di
voce, con tono confidenziale:
"Un giorno la
Signora Gasparoni ha avuto la febbre alta, delirava quasi, fortuna che ho
pensato io a comperare le medicine, altrimenti nessuno sarebbe uscito da
quell’appartamento per assistere la poveretta... Quella volta ho capito".
Poi la donna torna nella posizione iniziale, stringendosi sempre più nel maglione,
l’aria del mattino è ancora fresca. Gli occhi a puntare il terzo piano.
"Capito cosa?".
"Capito cosa?".
"Una volta
sono andata in gita a Parigi, ha presente i viaggi organizzati? Da sola non mi
muovo, ma mi sono iscritta al gruppo vacanze della parrocchia con la signorina
Marisa, si fa ancora chiamare così ma ha settantadue anni Marisa la signorina. Comunque, quella volta, ho visto proprio La Gioconda. Quella famosa! Ma cosa
avrà di tanto importante ho chiesto alla Marisa, era un quadro piccolo, lungo
un corridoio, neanche la signorina di settantadue anni ha saputo darmi una
risposta.
"Ma cosa c'entra?!?"
"Eh, l’arte rende pazzi, ignoranti ooo…" La signora guarda l’uomo al suo fianco senza terminare la frase. L’uomo ascolta, aspetta, poi si volta. I due si fissano.
"Ma cosa c'entra?!?"
"Eh, l’arte rende pazzi, ignoranti ooo…" La signora guarda l’uomo al suo fianco senza terminare la frase. L’uomo ascolta, aspetta, poi si volta. I due si fissano.
"Oppure?".
"Gelosi!"
"Gelosi?"
"Ma sì!"
"Mi faccia capire".
"La signora Gasparoni era gelosa di quella Gioconda, cioè non del quadro, quello è un quadro, ma della donna dipinta, la Monnalisa. Il marito ci parlava, diceva che aveva una bellezza irraggiungibile da qualsiasi altra donna e quella posizione così accattivante, accattivante diceva il signor Gasparoni, seduta di tre quarti, per me davvero scomoda, io sentivo tutto mentre facevo le pulizie e la vedevo poi la signora Gasparoni che cercava in ogni modo di assomigliare a quell’altra donna e avere ancora addosso gli occhi del suo uomo, altro che la Monnalisa. Ecco perché ora sta lassù, in faccia al cielo, dove riposa il marito in eterno, e tenta di mettersi in quella posizione, davanti a lui, accattivante, diceva. Per riconquistare il suo uomo - Lo sa, al funerale eravamo soltanto in cinque, la Gasparoni, io, la signorina Marisa, il prete. E il morto."
"Gelosi?"
"Ma sì!"
"Mi faccia capire".
"La signora Gasparoni era gelosa di quella Gioconda, cioè non del quadro, quello è un quadro, ma della donna dipinta, la Monnalisa. Il marito ci parlava, diceva che aveva una bellezza irraggiungibile da qualsiasi altra donna e quella posizione così accattivante, accattivante diceva il signor Gasparoni, seduta di tre quarti, per me davvero scomoda, io sentivo tutto mentre facevo le pulizie e la vedevo poi la signora Gasparoni che cercava in ogni modo di assomigliare a quell’altra donna e avere ancora addosso gli occhi del suo uomo, altro che la Monnalisa. Ecco perché ora sta lassù, in faccia al cielo, dove riposa il marito in eterno, e tenta di mettersi in quella posizione, davanti a lui, accattivante, diceva. Per riconquistare il suo uomo - Lo sa, al funerale eravamo soltanto in cinque, la Gasparoni, io, la signorina Marisa, il prete. E il morto."
Il passante
rimane un attimo in silenzio ad osservare l’equilibrista, quella donna sola.
Poi sbotta.
"E i
pompieri, la polizia, non stanno facendo nulla!? Perché non li ha chiamati? Non
interviene nessuno, com’è possibile tutto questo?" .
"Qui nel quartiere
conosciamo già come andrà a finire, non è la prima volta. Anzi, sa mica che ore sono?"
L'uomo non fa in tempo a rispondere che, dalle campane
della chiesa, si sentono in quell’istante nove rintocchi.
"Perfetto,
orario di apertura del Museo. Ora faccia silenzio. Ci siamo."
Dal terzo
piano giunge la voce della donna seduta sulla ringhiera, con un tono tale da
poterne udire distintamente le parole:
"Tra poco entreranno
migliaia di occhi, come ogni giorno, e mi supplicheranno di essere compatiti,
aiutati, desiderati. E’ forse questa la mia funzione? Può darsi. Se mi hai
creata per alleviare la solitudine del popolo, allora ho deciso, resterò qui! Che
non manchi mai a nessuno uno sguardo di comprensione."
Pronunciate
queste parole, la donna del terzo piano, con stupefacente agilità, alza le
gambe e scavalca la ringhiera, rientrando così nella parte interna del
terrazzino, al sicuro. Apre la portafinestra per poi richiuderla dietro di sé.
Scompare oltre i vetri e allo sguardo di
chi è rimasto sotto.
"Visto? E’
di nuovo tutto finito." – conclude rasserenata la vicina di casa - "Possiamo andare".
"Come di
nuovo? Finito? E se quella donna ci riprova? Non può rischiare così la propria
incolumità, mi sembra assurdo, qui c'è bisogno di un ricovero!".
" Ah, ma quale
ricovero? E crede che non lo farebbe anche dalla finestra di un ospedale, non si affaccerebbe ogni giorno anche da lì? Non
le rimane altro ormai, niente figli, mai più marito…”
"Almeno
sarebbe controllata a vista!"
"E noi cosa
abbiamo fatto? Anche qui è guardata a vista da me, da lei, dai passanti che per
la Signora Gasparoni sono come i visitatori del Museo".
Il volto del
signore acquista un’espressione di totale incredulità. La vicina di casa invece
concede al passante le ultime definitive spiegazioni, quasi fosse una guida
turistica.
"La rendiamo
contenta così, mi segue? Anzi grazie, meno male che non ero sola, anche oggi abbiamo
realizzato il suo gioco".
"Gioco?"
"Qualcuno che si fermi a guardarla e ad ascoltarla con attenzione, almeno per un istante."
"Gioco?"
"Qualcuno che si fermi a guardarla e ad ascoltarla con attenzione, almeno per un istante."
"Sta dicendo che è tutto finto? Quella donna in bilico sulla ringhiera del terzo piano è
solo una messa in scena?".
"Un quadro".
"Un quadro? Ma
cosa? Che cosa significa?".
"Che a volte
basta così poco per sopravvivere".
Il signore in
impermeabile rimane ammutolito, troppi pensieri gli si affastellano in testa,
quell’aria frizzantina del mattino poi inizia a sentirla, gli stringe la nuca.
L’uomo osserva il volto sereno della donna in pantofole poi si volge attorno.
L’edicolante dall’altra parte della strada, i ragazzi fermi ad aspettare
l’autobus, pure una vecchietta che porta a spasso il cane, hanno tutti gli
occhi puntati su di lui.
E’ la donna a
rompere il silenzio:
"Torno alle
mie faccende domestiche… posso offrirle un caffè?"
Sconcertato, l'uomo guarda l’orologio che lo riconduce alla
sua realtà, sono passate le nove ormai da alcuni minuti.
"La ringrazio
ma sono in ritardo, mi aspettano in ufficio. Mi dispiace...gradirei volentieri, mi creda. Devo proprio
andare".
La vicina di
casa allunga una mano infreddolita e stringe quella calda del signore:
"Allora
arrivederci".
"... Arrivederci".
"E grazie".
"Di cosa?... - l'uomo rimane con le parole in bocca, non trova nulla da aggiungere.
"E grazie".
"Di cosa?... - l'uomo rimane con le parole in bocca, non trova nulla da aggiungere.
La donna allora si avvia al portone del palazzo. Prima di infilare la chiave nella toppa si
volta, l’uomo è ancora lì con lo sguardo perso tra l’alto, il basso e
tutt’attorno.
"Ah, la
prossima volta le mostrerò le foto di Parigi!"
"Sì... la prossima...volta" - balbetta il signore,
stringendosi nell’impermeabile beige.
Poi il portone si
chiude. La donna scompare lungo scale.
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