giovedì 4 luglio 2013

Il compagno di banco


In piazza “San Ciriaco Diacono e Martire” c’è una scuola elementare.
Un bambino di otto anni trascorre spesso la pausa della ricreazione rivolto verso il muro, nell’angolo dello stanzone della scuola, mentre gli altri scolari riempiono di chiacchiericcio, risatine e briciole, lo spazio intorno.
Quel bambino sta nell’angolo quando la maestra lo mette in punizione. Oggi è uno di quei giorni.
-      Mi scappa la pipì! . - esclama il bambino.
-       Resisti, non è ancora terminata la tua punizione.
-       Mi scappa tanto.
-       Devi imparare a trattenere gli istinti. Su, è un piccolo sforzo, obbedisci per una volta alla maestra.
-       Sto per farla.
-      E va bene! Andiamo al bagno allora, ti seguirò fino alla porta. Fai in fretta, l’ora della merenda è quasi finita e dobbiamo tornare in classe.
Così il bambino si volta, lascia l’angolo del muro e passa a testa alta in mezzo agli altri alunni che lo guardano ma non osano schernirlo. Egli è conosciuto a scuola come un tipo poco socievole e, soprattutto, capace di improvvisi scatti di ira. Difficile da immaginare per un corpo così minuto eppure, proprio stamattina, il bambino ha sollevato una sedia e l’ha scagliata contro un compagno soltanto perché il malcapitato aveva confuso una penna con la sua.
Il bambino entra in bagno. La maestra aspetta fuori.
Passa meno di un minuto. Il bambino esce dal bagno.
-     Com’è possibile? Non hai fatto niente, vero? Non ho sentito la tua pipì. Non era mica una bugia per prendere in giro la maestra?!
Il bambino alza gli occhi verso la donna e scoppia in una fragorosa risata.
-     Sei un maleducato, insolente, farò chiamare i tuoi genitori. E adesso torna immediatamente nell’angolo!
Il bambino attraversa di nuovo lo stuolo dei compagni, sempre più allibiti da quella sfrontatezza. Egli non ha alcuna fretta di tornare al suo posto anzi, quando arriva in mezzo allo stanzone, rallenta il passo e guarda tutti, uno ad uno, con un sorriso altro che benevolo; poi si riposiziona, il viso rivolto verso il muro.
-          Ma… ma… ti rendi conto che il tuo è un comportamento da… da…da… bambino cattivo?.
Silenzio.
-          … Vuoi rispondere alla tua maestra, per favore?
Di nuovo silenzio.
Intanto gli altri bambini smettono di muoversi o correre tra lo stanzone e il corridoio, a piccoli passi si avvicinano tra loro, nessuno ha il coraggio di fiatare. Cartacce di merendine a terra, occhi calamitati verso l’angolo, da dove, ad un tratto:
-          La mia maestra ha i capelli lunghi ma io gli e li taglierò con le forbici.
-          Che cosa? – esclama incredula l’insegnante.
-          Poi raccoglierò i capelli e li butterò nella pentola grande giù alla mensa. Mescolati al sugo. Tutti i bambini mangeranno i capelli della maestra. Qualcuno si strozzerà?
-          Che parole sono queste? Smettila di dire simili cattiverie.
Il bambino non si volta ma è il suo corpo che inizia a vibrare in preda ad una strana estasi, le parole escono lo stesso una dopo l’altra:
-          Alla mia festa di compleanno inviterò i compagni di classe. Da bere ci sarà alcool per tutti.
-          Cosa stai dicendo? E perché tremi? Hai freddo?
-          Poi spegneremo insieme le candeline. Alcool 90° gradi e succo di frutta.
-      Calmati e… ritira subito queste parole. Sono scherzi che non si fanno, brutti scherzi, non vanno neanche pensati. Lo vedi che poi ti senti male anche tu?
-        Le gole dei compagni sputeranno fiamme.  La scuola andrà a fuoco. Tutti bruceranno dalla bocca! Lingue squagliate, denti rotti,  labbra a pezzettini.
-          Ma cosa dici, come ti vengono in mente simili cattiverie e…cos’hai?
-          Brandelli dappertutto. E capelli in gola.
-          Ma perché tremi? Fermati …i tuoi compagni ti ascoltano, chiedi subito scusa!
-       Bruciato. Bruciato! Tutto diventerà nero, puzzerà di cenere e sarà… bello! Al fuoco i colori, i libri, gli astucci, i grembiuli.
-  Smettila!
-  I compagni di banco e le maestre. Devo fare pulizia, buttare via tutto e mettere in ordine la cameretta. Invece no, brucerò anche quella, così sarà in ordine subito. Non vedo l’ora!
-          Basta! Silenzio, smettila ho detto!
Per le ultime esclamazioni provenienti da un corpo che ormai trema da capo a piedi e vibra come una fiammella,  la maestra si alza di scatto dalla sedia poi rapida, agli altri bambini, quasi sottovoce:
-          Voi tornate in classe, la ricreazione è finita. Svelti!
Una biondina con due lunghe trecce che cadono lungo il grembiule, senza ben comprendere la gravità della situazione:
-          Maestra, e tu non vieni?
Il bambino vibrante a sorpresa rincara la dose:
-          Non può.
-          Certo, arrivo subito, andate in classe voi ora, fate in fretta. – ribatte pronta la maestra.
-          Maestra lo sai che non è vero. – insiste lui.
I bambini si allontanano velocemente da quell’angolo dello stanzone mentre la maestra tenta un passo verso lo scolaro ormai fuori controllo:
-          Stai delirando, cosa ti succede, ti senti male, ti fa male la testa? Parla con la tua maestra!
-          Resterai qui con me, sono un bambino, potrei farmi del male se mi lasci da solo.
-          Ma certo mi vedi, voltati, non mi muovo da qui.
-          Non è bene lasciare i bambini da soli. Non è bene.
-          Tu non sei solo, guardami, sono con te.
-          Ma cosa è bene e cosa male? Lo insegnano le maestre?
-          Ve l’ho spiegato tante volt..
-         E a loro chi gli e lo ha insegnato? Poi qualcuno brucia i bambini se rimangono da soli. Questo lo sanno le maestre?
-          Ricominci con queste brutte parole, no. Calmati, ti preg…
-          Qualcuno i bambini li prende e li brucia.
-          Ma non è vero, tutti vogliono bene ai bamb..
-          E’ falso! Bugia, bugia!! C’è scritto sui libri.
-          Ma cosa, dove lo hai letto?
-          C’è scritto?! Chi lo ha scritto?
-          Scritto… cosa?
-          Che i bambini escono dalla torre come fumo, al fuoco, non li lasciate soli, qualcuno li prende, brucio anch’io. No, io no. Io non brucio. I miei capelli no. Io non posso. I capelli dei bambini sono troppo leggeri. Poi si strozzano.Volano via. Allora gli do fuoco. La cenere vola via. Li guardo, li voglio tutti.
-          Ma che diavolo…
-          E’ questa la verità, solo questa è la storia vera!
La maestra fissa la schiena del piccolo, non riesce a parlare.
Suona la campanella. Il rumore metallico scuote l'animo atterrito della maestra.
Quando il suono finisce, la donna riesce a prendere un ampio respiro. Poi allunga un braccio verso la spalla destra del bambino, la tocca e lascia che lentamente il palmo si distenda per quel contatto. Il peso della mano preme sulla spalla acerba. Il corpo del piccolo lentamente smette di tremare. La mano della maestra avverte che il grembiule è bagnato, sudato,  il respiro veloce, è il cuore del bambino che sotto batte forte. Silenzio.
-          Finita. La ricreazione è finita. Andiamo in classe.
-          … La mia punizione.
-          Anche quella, finita. Non preoccuparti. Torniamo dai tuoi compagni.
-          I miei compagni. Sono rimasti soli fino adesso?
-          Sì…cioè no…ti stanno aspettando…soli, per un attimo…
Silenzio.
-          E la bambina bionda con le trecce?
-      Chi… Lucrezia? E’ in classe con gli altri. Sempre al primo banco, per stare vicino alla maestra, che brava bimba. Lo sai che Lucrezia è così buona.
-          Voglio sedermi vicino a lei.
-          A Lucrezia? Va bene…Ti farà bene.
-          Non deve mai più rimanere sola.
Il bambino rimasto fino ad ora verso il muro, si volta.
I capillari degli occhi sono tutti lì, rossi a fissare il corridoio dall’altra parte dello stanzone.
Senza rivolgere uno sguardo alla maestra, egli si stacca dal muro e attraversa lo spazio lasciato deserto. Si dirige verso la sua classe.
La maestra subito lo segue ma non riesce a stargli dietro, lui è rapido nei passi, lei per raggiungerlo deve quasi correre.
Arrivati sulla porta della terza D, il bambino si blocca, abbassa la testa ma alza lo sguardo.
-          Maestra, diglielo tu a Lucrezia.
-          Che sarai il suo compagno di banco?
-          No. Che voglio le sue trecce.








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