mercoledì 24 luglio 2013

Per un chilo di banane

"Signorina che me dà na mano per attraversà la strada? Devo andà a comprà le banane".
Porgo il braccio d'appoggio.

Un, due, tre...un passo lungo e due piccoli, cammina e balla il valzer la signora Margherita, 93 anni e una camicetta celeste con i volants.
"Da 62 anni sò sposata co la gramigna, me fa allergia".
Ex impiegata statale, diplomata: "M'hanno rimandato a merceologia e dattilografia ma adesso c'ho la testa sveja, so pure le poesie". 
Nata nel 1920: "Me li s'ho visti tutti, Mussolini, Hitler..sò sempre stata controcorente dicevo Duce, Duce alla fame ce conduce!". 
Cavaliere del lavoro: "Per l'attaccamento al servizio...sì, co lo spago!". 
Ha un figlio e un marito ma è separata: "Il marito te pò tradì, l'amica te pò tradì, l'unico che non te tradisce mai sai chi è?Il cane. A meno che non va fori de testa pure quello". 
Le danno fastidio le scarpe: "Ho mannato la portinaia a comperamme le ciabatte nove ma ha sbajato numero!".
Ha un'amica di 84 anni:" Me le devo trovà più giovani, quella guida pure, annamo a Ostia, al mare, ma è arteriosclerotica, forse è mejo che in macchina non ce monto più. L'altro giorno cercava il bagno e l'ha fatta in cucina. E poi te lo dico, lo posso dì? E' 'na stronza! Una volta m'ha tolto l'ombrello, me ce appoggiavo, ahò per poco non casco! Je rode che c'ho la pensione de invalidità. Ma te che dici, je telefono? La devo perdonà?".
Il figlio aveva un gatto: "Duecento euro pe faje il funerale e s'è lamentato pure...ahò er funerale d'un cristiano costa pure deppiù, per me mica pò spende solo duecento euro!". 
Si tinge i capelli e non passa sulle grate dei marciapiedi: "Nel quartiere io c'ho i fans, sò caduta all'età mia e me sò rimessa in piedi. A 93 anni!".
"...e pure se moro adesso... ma che me frega".

Mentre la accompagno a braccetto io?? Altri trent'anni portati così signora Margherita, altri trent'anni!

giovedì 4 luglio 2013

Loredana


Un bar alle sette del mattino già infonde aroma di caffè lungo il marciapiede, ogni volta che entra o esce un cliente e si apre la porta d’ingresso.
L’ Happy Bar fa eccezione. Non perché non disponga di ottimo caffè, piuttosto perché alle sette del mattino è ancora chiuso. Per una colazione con brioche e cappuccino, occorre trovare un altro posto. A meno che non si possa attendere fino alle 8 e 30, quando arriva Loredana.
Sono trent’anni che Loredana solleva la saracinesca dell’Happy Bar a quell’ora, per poi abbassarla di nuovo alle 21. Tranne se gioca la Roma. In quel caso il bar non chiude fino a quando non è terminata la partita.
Lo sanno tutti ormai, i clienti della via, gli unici a frequentare l’Happy Bar, conoscono le abitudini di lavoro di Loredana e nessuno si azzarda a contestarle. Per le occasioni in cui si deve partire presto al mattino o si gradirebbe anche un goccetto prima di andare a letto la sera, magari di ritorno da un viaggio o dopo una lunga giornata, i frequentatori dell’Happy Bar sono addirittura disposti a rinunciare al desiderio del momento, pur di non tradire il loro solito spazio esclusivamente a quel bancone. Nessuno cambia bar.
“Loredana devi annà a studià, nun fa come tu madre che dopo te ritrovi ignorante e tajata fori dalla bella vita. La voi fà la bella vita, Loredà? Ah, se ce potessi entrà ‘na volta in quei palazzi coi portoni grandi e che dentro c’hanno er cancello in fero battuto co tutti gli rzigogoli e pure er giardino! Me basterebbe fermamme in mezzo a quelle piante e guardà drento le finestre, tutte quelle stanze cor soffitto a cassettoni in ‘sti tempi moderni, certo che aveccelo quer soffitto significa esse proprio ricchi, i cassettoni!! Loredà, ascortame, ce vole che stai sopra i libri, fallo ‘no sforzo a mamma!”
Così ha sempre detto la signora Lucia, la madre di Loredana, e la figlia fino ai quattordici anni sopra ai libri c’è stata, però nascondendo sotto le lettere che scriveva al fidanzatino Giò o le canzoni di cui imparava subito a memoria il testo, non appena le ascoltava alla radio tre volte.
Loredana, finita la scuola dell’obbligo, era già dietro al bancone del bar. Incinta.
“E mò che famo? Chi je dà da magnà a sto fijolo? Loredà già me spacco la schiena a lavà tutte le scale der palazzo bello, mica ce posso sfamà pure un nipote, nun basta, ce lo sai. E la bancarella de tu padre nun venne miracoli, mica a casa nostra ce stà er soffitto a cassettoni? Quanto me piace quer soffitto! Ammò ce devi pensà tu a stà creatura nova, sarà sempre mi nipote ma più de tanto affetto nun je posso dà... Perché nun m’hai dato retta, bastava no sforzo in più sui libri... tutti sordi buttati.”
Ma Loredana non ha mai chiesto nulla ai genitori da quando ha avuto in sé Luca, il figlio suo e di Giovanni.
L’Happy Bar apparteneva al padre di Giovanni, il quale alla sua morte gli e lo ha lasciato.
Ma proprio Giovanni, un malaugurato venerdì, è finito sotto un’auto, mentre usciva proprio dal suo bar. Non è morto, ma ha riportato lesioni cerebrali che non gli hanno più permesso di stare dietro al bancone. Ed è così che ne ha preso pieno possesso Loredana.
Nella via, le storie di ognuno sono condivise di balcone in balcone, sui pianerottoli, lungo le panche della chiesa, e quello che è accaduto a Giovanni viene raccontato quasi come una disgrazia che poteva accadere a chiunque altro e di cui tutti si sono sentiti parte. Da quel giorno a Loredana i clienti non sono mancati mai, neanche la volta in cui fuori c’erano trenta centimetri di neve.
Loredana se ne accorge che i suoi clienti le prestano attenzioni, i maschi però, non le loro mogli. 
A quaranta cinque anni Loredana è una bella donna, mora, con i capelli sempre sciolti anche se al bar dovrebbe tenerli legati, vestita di nero per nascondere eventuali macchie di caffè e sulle labbra rossetto rosso, per sentirsi ancora attraente. E lo è, gli e lo dimostrano tutti.
L’unico che non può goderne è proprio suo marito Giovanni. Ma a Loredana di questo non importa, da quando ha avuto quell’incidente lei si è dedicata quotidianamente al lavoro, per crescere il figlio Luca e mantenere l’assistenza in casa per il marito. 
Ormai Luca è grande, lui sì che ha seguito le parole proprio di sua madre, di Loredana, ed ha preso il diploma all’Istituto alberghiero con il massimo dei voti, così ha trovato lavoro in uno dei ristoranti del centro, accanto a quei palazzi con il soffitto a cassettoni che tanto piacevano alla nonna.
Loredana si alza presto al mattino ma apre il bar alle 8 e 30 perché aspetta l’arrivo della donna che accudisce il marito, nel frattempo parla con Giovanni, cerca di tenerlo attivo almeno con il pensiero, gli racconta dei discorsi che fanno gli altri uomini al bar, di chi si è sposato, di chi ha aperto un negozio nuovo, mentre si occupa delle faccende di casa. Loredana è convinta che il marito sia in grado di capire le sue parole, anche se fatica a rispondere anzi, ad articolare qualsiasi suono. Abitano nella vecchia casa lasciata anche quella dal padre di Giovanni, gli infissi stanno cedendo, se nevicherà di nuovo sarà troppo freddo per lui, che sta sempre seduto, sulla sedia a rotelle.
Un cliente del bar ha promesso a Loredana che andrà a mettere gli infissi nuovi, ad un prezzo scontato, solo per farle un favore.
Loredana sa come trattare gli avventori, ha sempre un sorriso per tutti, nonostante conduca una vita affatto leggera ma sa come nasconderla e trova ogni modo per proteggerla dalle dicerie altrui.
Quando c’è la partita della Roma, anche Loredana partecipa ai cori, gioisce se c’è un goal, esprime pareri sui giocatori e tutti la accettano come fosse una di loro, della curva, solo che al momento non può vedere la partita allo stadio ma se la gode nel suo bar, dietro al bancone, davanti a quello schermo grande che da quando impera, all’Happy Bar, fa sentire gli abitanti della via un po’ più partecipi dei fatti del mondo.
Loredana è una donna scaltra, una volta si è difesa dalle avances di un cliente che aveva aspettato l’ora di chiusura per spingerla nello sgabuzzino ma lei ha urlato e si è dimenata con una tale forza che  l’uomo ha preferito lasciare in tempo la sua preda ed evitare di cacciarsi ulteriormente nei guai. Quell’uomo era di passaggio, di certo non un habitué, e il giorno dopo Loredana non ha fatto altro che raccontare a tutti l’accaduto, per dimostrare che sapeva reagire alle violenze dei vigliacchi e che, soprattutto, avrebbe deciso lei se e quando avere un altro uomo che non fosse Giovanni, quel povero marito a cui troppo presto la vita aveva negato la felicità coniugale.
"Me volevi tutta, brutto stronzo? T'ho mannato via co 'na manciata de capelli in mano. Facce 'na corda e strozzate, prima de ficcà la lingua addosso a n'altra donna!"
Non subisce l' esistenza Loredana, lei la graffia, con quelle unghie colorate di rosso che ogni giorno ripassa di nuovo smalto, perché l’acqua e i detersivi ne scalfiscono sempre piccoli segmenti e a lei non piace risultare scomposta.
Loredana non ha mai sporto denuncia e nessuno si è preoccupato di convincerla a recarsi dai carabinieri. L’Happy Bar è un luogo in cui sono in molti ad avere commesso errori passati, piccoli furti, ricettazione, spaccio, risse, animi dalla gioventù turbolenta che hanno scontato le loro pene ed hanno anche accettato la vita come un limbo che dista soltanto un passo, quello falso, dall’inferno.
Un giorno, nel mese di Agosto, a casa di Loredana arriva una lettera dell’Inps che attesta la revoca della pensione di invalidità beneficiata da Giovanni, a seguito della morte dell’uomo.
Ma Giovanni sta ancora diritto sulla sua sedia a rotelle, mangia, beve, guarda fuori della finestra, a volte abbozza pure un sorriso, anche fosse soltanto uno spasmo involontario dei muscoli facciali. Giovanni è vivo, non è morto.
“Ma che se sò impazziti? Che se magna 'sta gente?? Sto caldo j’ha dato ar cervello?! Famo, famo che è tutto 'no scherzo, se sò sbajati, sarà n'omonimo, te chiami Giovanni Gregori, se sò sbajati ma nun è che a Roma ce ne stanno tanti de Giovanni Gregori, o forse sì, alora ce devo capì! Anzi nun ce sta proprio niente da capì.E' n'errore demmerda e basta. Che ce vonno revocà?!? Mò me danno spiegazioni, mo je faccio vedé io!”
Loredana si infuria, le trema la voce, stringe i pugni per non urlare altro strazio davanti al marito. Si graffia da sola lo smalto sulle unghie per comprimere la rabbia generata da quel terribile quanto doloroso errore della burocrazia.
Poi guarda Giovanni, il marito sta sudando, dietro la schiena ha un asciugamano bagnato. E' l’estate più calda del millennio, così dicono al bar, e tutte le piante del balcone sono morte, loro sì, nell’arco di due giorni.
Quella mattina Loredana non va ad alzare la saracinesca, non aspetta nemmeno che arrivi l’assistenza, probabilmente le hanno tolto già anche quella. Con tutta la forza che l’afa le concede, carica Giovanni sulle spalle e lo sistema in auto, poi infila dietro la carrozzina.
E partono.
La donna guida in mezzo al traffico, Giovanni le è accanto e osserva la città che è meno caotica del solito, molte persone sono in ferie o in coda per il mare. Da tempo Giovanni non faceva un giro oltre le pareti dell’appartamento, nonostante quel respiro che viene dall'asfalto, sta dritto sul sedile, sembra quasi riprendere le forze.
Arrivano alla sede dell’Inps.
Loredana sistema di nuovo il marito sulla sedia a rotelle, lo spinge per il piazzale assolato e i due entrano nello stabile.
Nell’ ufficio pensioni, l’aria condizionata non funziona. Un impiegato è seduto alla scrivania con le braccia conserte, le temperature rallentano le energie ed anche il desiderio di applicarsi. L'impiegato ha però posizionato un ventilatore accanto a sé che gli concede un dignitoso refrigerio.
Appena Loredana nota il ventilatore, valica decisa lo spazio dei visitatori, afferra il marchingegno e lo sistema accanto alla sedia a rotelle del marito.
“E se quarcuno toglie ‘sto coso da qui è un uomo morto. Lui è morto, no Giovanni mio!”
L’impiegato ha un sussulto che lo risveglia dal torpore del caldo, guarda Loredana, poi si alza e si avvicina, domanda spiegazioni. La donna ormai in preda alla foga e ad un coraggio furente chiede di parlare con il Direttore. Dopo dieci minuti quello arriva, alto, smagrito, una carnagione che non vede il sole da anni, con la giacca che tradisce il sudore sotto il braccio. Su una mano stringe un fazzoletto, l'altra la allunga a Loredana.
Cosa si siano detti il Direttore e Loredana, cosa abbia detto la donna per prima non è stato mai raccontato in maniera precisa al bar. Chi dice che lei lo abbia preso a male parole, chi sostiene che gli abbia tirato in faccia la lettera, chi addirittura il ventilatore. Una cosa è certa, che non se ne sia andata fino a quando non ha ricevuto in mano la revoca della sospensione. 
C’è pure chi afferma che Giovanni, proprio lui, abbia biascicato una sola parola, in quella occasione, dopo anni di silenzio: “Vaffanculo”.
Fatto sta che Loredana e Giovanni sono poi usciti dal palazzo con tanto di scuse da parte di tutto l’Ufficio Inps.
Loredana quella mattina non ha aperto proprio l’Happy Bar, si è concessa una giornata di ferie, ha preso la direzione del mare e ha portato Giovanni a fare una passeggiata lungo il molo. Hanno anche comperato un gelato artigianale. “Te piace Giovà? Cattivo nun se po’ dì, ma manco bono. E’ mejo quello der bar nostro, vero Giovà?”.
Giovanni davanti a quel mare, con il viso della moglie difronte che gli imboccava il gelato aiutandosi con un cucchiaino, ha avuto uno spasmo muscolare.
“E’ stato er sorriso più bello che m’avesse fatto mai, sembravamo du ragazzini”.
Così Loredana lo ha raccontato a tutti, il giorno dopo, l’aspettavano, e non mancava nessuno al bancone dell’Happy Bar.

Il compagno di banco


In piazza “San Ciriaco Diacono e Martire” c’è una scuola elementare.
Un bambino di otto anni trascorre spesso la pausa della ricreazione rivolto verso il muro, nell’angolo dello stanzone della scuola, mentre gli altri scolari riempiono di chiacchiericcio, risatine e briciole, lo spazio intorno.
Quel bambino sta nell’angolo quando la maestra lo mette in punizione. Oggi è uno di quei giorni.
-      Mi scappa la pipì! . - esclama il bambino.
-       Resisti, non è ancora terminata la tua punizione.
-       Mi scappa tanto.
-       Devi imparare a trattenere gli istinti. Su, è un piccolo sforzo, obbedisci per una volta alla maestra.
-       Sto per farla.
-      E va bene! Andiamo al bagno allora, ti seguirò fino alla porta. Fai in fretta, l’ora della merenda è quasi finita e dobbiamo tornare in classe.
Così il bambino si volta, lascia l’angolo del muro e passa a testa alta in mezzo agli altri alunni che lo guardano ma non osano schernirlo. Egli è conosciuto a scuola come un tipo poco socievole e, soprattutto, capace di improvvisi scatti di ira. Difficile da immaginare per un corpo così minuto eppure, proprio stamattina, il bambino ha sollevato una sedia e l’ha scagliata contro un compagno soltanto perché il malcapitato aveva confuso una penna con la sua.
Il bambino entra in bagno. La maestra aspetta fuori.
Passa meno di un minuto. Il bambino esce dal bagno.
-     Com’è possibile? Non hai fatto niente, vero? Non ho sentito la tua pipì. Non era mica una bugia per prendere in giro la maestra?!
Il bambino alza gli occhi verso la donna e scoppia in una fragorosa risata.
-     Sei un maleducato, insolente, farò chiamare i tuoi genitori. E adesso torna immediatamente nell’angolo!
Il bambino attraversa di nuovo lo stuolo dei compagni, sempre più allibiti da quella sfrontatezza. Egli non ha alcuna fretta di tornare al suo posto anzi, quando arriva in mezzo allo stanzone, rallenta il passo e guarda tutti, uno ad uno, con un sorriso altro che benevolo; poi si riposiziona, il viso rivolto verso il muro.
-          Ma… ma… ti rendi conto che il tuo è un comportamento da… da…da… bambino cattivo?.
Silenzio.
-          … Vuoi rispondere alla tua maestra, per favore?
Di nuovo silenzio.
Intanto gli altri bambini smettono di muoversi o correre tra lo stanzone e il corridoio, a piccoli passi si avvicinano tra loro, nessuno ha il coraggio di fiatare. Cartacce di merendine a terra, occhi calamitati verso l’angolo, da dove, ad un tratto:
-          La mia maestra ha i capelli lunghi ma io gli e li taglierò con le forbici.
-          Che cosa? – esclama incredula l’insegnante.
-          Poi raccoglierò i capelli e li butterò nella pentola grande giù alla mensa. Mescolati al sugo. Tutti i bambini mangeranno i capelli della maestra. Qualcuno si strozzerà?
-          Che parole sono queste? Smettila di dire simili cattiverie.
Il bambino non si volta ma è il suo corpo che inizia a vibrare in preda ad una strana estasi, le parole escono lo stesso una dopo l’altra:
-          Alla mia festa di compleanno inviterò i compagni di classe. Da bere ci sarà alcool per tutti.
-          Cosa stai dicendo? E perché tremi? Hai freddo?
-          Poi spegneremo insieme le candeline. Alcool 90° gradi e succo di frutta.
-      Calmati e… ritira subito queste parole. Sono scherzi che non si fanno, brutti scherzi, non vanno neanche pensati. Lo vedi che poi ti senti male anche tu?
-        Le gole dei compagni sputeranno fiamme.  La scuola andrà a fuoco. Tutti bruceranno dalla bocca! Lingue squagliate, denti rotti,  labbra a pezzettini.
-          Ma cosa dici, come ti vengono in mente simili cattiverie e…cos’hai?
-          Brandelli dappertutto. E capelli in gola.
-          Ma perché tremi? Fermati …i tuoi compagni ti ascoltano, chiedi subito scusa!
-       Bruciato. Bruciato! Tutto diventerà nero, puzzerà di cenere e sarà… bello! Al fuoco i colori, i libri, gli astucci, i grembiuli.
-  Smettila!
-  I compagni di banco e le maestre. Devo fare pulizia, buttare via tutto e mettere in ordine la cameretta. Invece no, brucerò anche quella, così sarà in ordine subito. Non vedo l’ora!
-          Basta! Silenzio, smettila ho detto!
Per le ultime esclamazioni provenienti da un corpo che ormai trema da capo a piedi e vibra come una fiammella,  la maestra si alza di scatto dalla sedia poi rapida, agli altri bambini, quasi sottovoce:
-          Voi tornate in classe, la ricreazione è finita. Svelti!
Una biondina con due lunghe trecce che cadono lungo il grembiule, senza ben comprendere la gravità della situazione:
-          Maestra, e tu non vieni?
Il bambino vibrante a sorpresa rincara la dose:
-          Non può.
-          Certo, arrivo subito, andate in classe voi ora, fate in fretta. – ribatte pronta la maestra.
-          Maestra lo sai che non è vero. – insiste lui.
I bambini si allontanano velocemente da quell’angolo dello stanzone mentre la maestra tenta un passo verso lo scolaro ormai fuori controllo:
-          Stai delirando, cosa ti succede, ti senti male, ti fa male la testa? Parla con la tua maestra!
-          Resterai qui con me, sono un bambino, potrei farmi del male se mi lasci da solo.
-          Ma certo mi vedi, voltati, non mi muovo da qui.
-          Non è bene lasciare i bambini da soli. Non è bene.
-          Tu non sei solo, guardami, sono con te.
-          Ma cosa è bene e cosa male? Lo insegnano le maestre?
-          Ve l’ho spiegato tante volt..
-         E a loro chi gli e lo ha insegnato? Poi qualcuno brucia i bambini se rimangono da soli. Questo lo sanno le maestre?
-          Ricominci con queste brutte parole, no. Calmati, ti preg…
-          Qualcuno i bambini li prende e li brucia.
-          Ma non è vero, tutti vogliono bene ai bamb..
-          E’ falso! Bugia, bugia!! C’è scritto sui libri.
-          Ma cosa, dove lo hai letto?
-          C’è scritto?! Chi lo ha scritto?
-          Scritto… cosa?
-          Che i bambini escono dalla torre come fumo, al fuoco, non li lasciate soli, qualcuno li prende, brucio anch’io. No, io no. Io non brucio. I miei capelli no. Io non posso. I capelli dei bambini sono troppo leggeri. Poi si strozzano.Volano via. Allora gli do fuoco. La cenere vola via. Li guardo, li voglio tutti.
-          Ma che diavolo…
-          E’ questa la verità, solo questa è la storia vera!
La maestra fissa la schiena del piccolo, non riesce a parlare.
Suona la campanella. Il rumore metallico scuote l'animo atterrito della maestra.
Quando il suono finisce, la donna riesce a prendere un ampio respiro. Poi allunga un braccio verso la spalla destra del bambino, la tocca e lascia che lentamente il palmo si distenda per quel contatto. Il peso della mano preme sulla spalla acerba. Il corpo del piccolo lentamente smette di tremare. La mano della maestra avverte che il grembiule è bagnato, sudato,  il respiro veloce, è il cuore del bambino che sotto batte forte. Silenzio.
-          Finita. La ricreazione è finita. Andiamo in classe.
-          … La mia punizione.
-          Anche quella, finita. Non preoccuparti. Torniamo dai tuoi compagni.
-          I miei compagni. Sono rimasti soli fino adesso?
-          Sì…cioè no…ti stanno aspettando…soli, per un attimo…
Silenzio.
-          E la bambina bionda con le trecce?
-      Chi… Lucrezia? E’ in classe con gli altri. Sempre al primo banco, per stare vicino alla maestra, che brava bimba. Lo sai che Lucrezia è così buona.
-          Voglio sedermi vicino a lei.
-          A Lucrezia? Va bene…Ti farà bene.
-          Non deve mai più rimanere sola.
Il bambino rimasto fino ad ora verso il muro, si volta.
I capillari degli occhi sono tutti lì, rossi a fissare il corridoio dall’altra parte dello stanzone.
Senza rivolgere uno sguardo alla maestra, egli si stacca dal muro e attraversa lo spazio lasciato deserto. Si dirige verso la sua classe.
La maestra subito lo segue ma non riesce a stargli dietro, lui è rapido nei passi, lei per raggiungerlo deve quasi correre.
Arrivati sulla porta della terza D, il bambino si blocca, abbassa la testa ma alza lo sguardo.
-          Maestra, diglielo tu a Lucrezia.
-          Che sarai il suo compagno di banco?
-          No. Che voglio le sue trecce.