lunedì 4 marzo 2013

Donna in bilico


“Anche stanotte non ho chiuso occhio. Da quando sto a Parigi, non riesco a dormire. Non sono i rumori della città a tenermi sveglia ma la luce. Questa luce artificiale che mi segue tutto il giorno. Coprirei il mio viso con le mani, mi abbasserei le palpebre a forza, se potessi. Più di cinque secoli nella stessa posizione, ho anche i palmi gonfi ormai. Eccolo, di nuovo il soffio lungo la schiena. Eppure nella sala non ci sono finestre. Sarà la brezza del fiume, il vento che alita tra quelle valli, dietro di me. Non posso vederle ma so che ci sono. Non è il sole a scaldarmi, piuttosto i capelli che hai dipinto oltre le mie spalle. Dovrei ringraziarti per questo? Leonardo, te lo dico, quanto vorrei scendere da qui.”
A pronunciare queste parole è una donna sulla cinquantina, lineamenti d’altri tempi, abito scuro, scollato.
La donna è seduta in bilico sulla parte esterna della ringhiera di un terrazzino, al terzo piano di un palazzo.
Sotto di lei, in mezzo alla strada, una signora in pantofole si stringe nel maglione mentre tiene lo sguardo rivolto all’insù, è la vicina di casa della donna in bilico.
Un uomo, che sta passando svelto davanti a quel palazzo, nota la signora in pantofole, segue la direzione del suo sguardo e si accorge della donna sulla ringhiera.
“Oddio, ma cosa sta facendo lassù?”
“Cerca la posizione giusta.” – risponde la donna, la vicina di casa, senza distogliere lo sguardo verso l’alto.
“Ma è pericolosissimo, quale posizione giusta? Deve scendere immediatamente, qualcuno faccia qualcosa! Da quanto tempo è lì? Possibile che nessuno sia ancora intervenuto?.” – il passante non riesce a credere a ciò che gli si presenta davanti quella mattina quando, come tutti gli altri giorni, è in giro per entrare ed uscire da vari uffici e sbrigare la solita burocrazia.
“Saranno dieci minuti che sta così ".
"Quanti?!" .
"Il tempo di ripetere quella manfrina, ormai conosco le parole a memoria."
"Cosa sta dicendo?" - incalza sempre più attonito il passante.
"Quella povera donna cerca solo di essere ancora la passione del marito.
"Che?".
" Era un pittore, Leonardo Gasparoni. Lo conosce?".
Il passante guarda la signora con l’espressione di chi pensa che probabilmente avrebbe dovuto conoscere tale Leonardo Gasparoni ma forse anche no.
"E’ morto".
"No, non lo conosco". – il passante si sente quasi in difetto per quella mancanza.
"Un grande artista, grande. Non mi intendo di certa roba ma i quadri del Signor Gasparoni erano proprio belli, solo ritratti. Fare ritratti è più difficile che disegnare mele e pere, è d’accordo? I visi non rimango sempre uguali, bisogna sbrigarsi, passa un minuto e la ruga cambia. Lei dipinge?".
"Io? No, non sono mai stato bravo con il disegno". – il passante ascolta e risponde alla signora ma rimane con gli occhi incollati a guardare quella donna seduta sulla ringhiera del terzo piano. Come volesse scongiurare il peggio solo con lo sguardo.
"E chi dice che bisogna essere bravi. Ci vuole estro! Quando era vivo il marito, i Gasparoni mi chiamavano per fare le pulizie così le vedevo. Tutte quelle facce appese in ogni angolo della casa, persino in bagno. Non erano solo dipinti.  Quella era gente viva. Viva. Mi capisce? Le sognavo anche la notte.”
"Ma lei non lo sa?".
"Che il marito è morto? Ma certo! Non è mica matta. Solo non se ne vuole fare una ragione. Negli ultimi tempi il Signor Leonardo si era messo in testa di copiare la Gioconda, diceva che la sua sarebbe stata un’opera migliore di quella che sta al Louvre. Secondo me ci poteva riuscire benissimo. Una volta ha anche messo il pennello nel caffè, scambiandolo per un cucchiaino. Non vedeva altro.".
La donna si avvicina al passante, posa una mano sull’avambraccio di lui e abbassa il tono di voce, con tono confidenziale:
"Un giorno la Signora Gasparoni ha avuto la febbre alta, delirava quasi, fortuna che ho pensato io a comperare le medicine, altrimenti nessuno sarebbe uscito da quell’appartamento per assistere la poveretta... Quella volta ho capito".
Poi la donna torna nella posizione iniziale, stringendosi sempre più nel maglione, l’aria del mattino è ancora fresca. Gli occhi a puntare il terzo piano.
"Capito cosa?".
"Una volta sono andata in gita a Parigi, ha presente i viaggi organizzati? Da sola non mi muovo, ma mi sono iscritta al gruppo vacanze della parrocchia con la signorina Marisa, si fa ancora chiamare così ma ha settantadue anni Marisa la signorina. Comunque, quella volta, ho visto proprio La Gioconda. Quella famosa! Ma cosa avrà di tanto importante ho chiesto alla Marisa, era un quadro piccolo, lungo un corridoio, neanche la signorina di settantadue anni ha saputo darmi una risposta.
"Ma cosa c'entra?!?"
"Eh, l’arte rende pazzi, ignoranti ooo…" La signora guarda l’uomo al suo fianco senza terminare la frase. L’uomo ascolta, aspetta, poi si volta. I due si fissano.
"Oppure?".
"Gelosi!"
"Gelosi?"
 "Ma sì!"
"Mi faccia capire".
"La signora Gasparoni era gelosa di quella Gioconda, cioè non del quadro, quello è un quadro, ma della donna dipinta, la Monnalisa. Il marito ci parlava, diceva che aveva una bellezza irraggiungibile da qualsiasi altra donna e quella posizione così accattivante, accattivante diceva il signor Gasparoni, seduta di tre quarti, per me davvero scomoda, io sentivo tutto mentre facevo le pulizie e la vedevo poi la signora Gasparoni che cercava in ogni modo di assomigliare a quell’altra donna e avere ancora addosso gli occhi del suo uomo, altro che la Monnalisa. Ecco perché ora sta lassù, in faccia al cielo, dove riposa il marito in eterno, e tenta di mettersi in quella posizione, davanti a lui, accattivante, diceva. Per riconquistare il suo uomo - Lo sa, al funerale eravamo soltanto in cinque, la Gasparoni, io, la signorina Marisa, il prete. E il morto."
Il passante rimane un attimo in silenzio ad osservare l’equilibrista, quella donna sola. Poi sbotta.
"E i pompieri, la polizia, non stanno facendo nulla!? Perché non li ha chiamati? Non interviene nessuno, com’è possibile tutto questo?" .
"Qui nel quartiere conosciamo già come andrà a finire, non è la prima volta. Anzi, sa mica che ore sono?"
L'uomo non fa in tempo a rispondere che, dalle campane della chiesa, si sentono in quell’istante nove rintocchi.
"Perfetto, orario di apertura del Museo. Ora faccia silenzio. Ci siamo."
Dal terzo piano giunge la voce della donna seduta sulla ringhiera, con un tono tale da poterne udire distintamente le parole:
"Tra poco entreranno migliaia di occhi, come ogni giorno, e mi supplicheranno di essere compatiti, aiutati, desiderati. E’ forse questa la mia funzione? Può darsi. Se mi hai creata per alleviare la solitudine del popolo, allora ho deciso, resterò qui! Che non manchi mai a nessuno uno sguardo di comprensione."
Pronunciate queste parole, la donna del terzo piano, con stupefacente agilità, alza le gambe e scavalca la ringhiera, rientrando così nella parte interna del terrazzino, al sicuro. Apre la portafinestra per poi richiuderla dietro di sé. Scompare oltre i vetri e  allo sguardo di chi è rimasto sotto.
"Visto? E’ di nuovo tutto finito." – conclude rasserenata la vicina di casa - "Possiamo andare".
"Come di nuovo? Finito? E se quella donna ci riprova? Non può rischiare così la propria incolumità, mi sembra assurdo, qui c'è bisogno di un ricovero!".
" Ah, ma quale ricovero? E crede che non lo farebbe anche dalla finestra di un ospedale, non si affaccerebbe ogni giorno anche da lì? Non le rimane altro ormai, niente figli, mai più marito…”
"Almeno sarebbe controllata a vista!"
"E noi cosa abbiamo fatto? Anche qui è guardata a vista da me, da lei, dai passanti che per la Signora Gasparoni sono come i visitatori del Museo".
Il volto del signore acquista un’espressione di totale incredulità. La vicina di casa invece concede al passante le ultime definitive spiegazioni, quasi fosse una guida turistica.
"La rendiamo contenta così, mi segue? Anzi grazie, meno male che non ero sola, anche oggi abbiamo realizzato il suo gioco".
"Gioco?"
"Qualcuno che si fermi a guardarla e ad ascoltarla con attenzione, almeno per un istante."
"Sta dicendo che è tutto finto? Quella donna in bilico sulla ringhiera del terzo piano è solo una messa in scena?".
"Un quadro".
"Un quadro? Ma cosa? Che cosa significa?".
"Che a volte basta così poco per sopravvivere".
Il signore in impermeabile rimane ammutolito, troppi pensieri gli si affastellano in testa, quell’aria frizzantina del mattino poi inizia a sentirla, gli stringe la nuca. L’uomo osserva il volto sereno della donna in pantofole poi si volge attorno. L’edicolante dall’altra parte della strada, i ragazzi fermi ad aspettare l’autobus, pure una vecchietta che porta a spasso il cane, hanno tutti gli occhi puntati su di lui.
E’ la donna a rompere il silenzio:
"Torno alle mie faccende domestiche… posso offrirle un caffè?"
Sconcertato, l'uomo guarda l’orologio che lo riconduce alla sua realtà, sono passate le nove ormai da alcuni minuti.
"La ringrazio ma sono in ritardo, mi aspettano in ufficio. Mi dispiace...gradirei volentieri, mi creda. Devo proprio andare".
La vicina di casa allunga una mano infreddolita e stringe quella calda del signore:
"Allora arrivederci".
"... Arrivederci".
"E grazie".
"Di cosa?... - l'uomo rimane con le parole in bocca, non trova nulla da aggiungere.
La donna allora si avvia al portone del palazzo. Prima di infilare la chiave nella toppa si volta, l’uomo è ancora lì con lo sguardo perso tra l’alto, il basso e tutt’attorno.
"Ah, la prossima volta le mostrerò le foto di Parigi!"
"Sì... la prossima...volta" -  balbetta il signore, stringendosi nell’impermeabile beige.
Poi il portone si chiude. La donna scompare lungo scale.